LE CHIESE


LA PARROCCHIALE DI SAN GIORGIO MARTIRE


E' situata in posizione elevata con orientamento nord-ovest, nella Piazza Giovanni XXIII (anticamente detta Sos Ulimos o anche Via della Parrocchia). E' dedicata al patrono San Giorgio Martire, il cui culto ha origini bizantine. La festa si svolge il 23 di aprile. Non sappiamo la data di prima costruzione.

Conosciamo solo alcuni dati dell'antico aspetto. Aveva le stesse dimensioni dell'attuale, un solo campanile e l'interno era certamente più dimesso, con qualche altare o pala d'altare (retablo) in legno dipinto.

Sappiamo che nel 1600 vi erano venerati tra gli altri, Nostra Signora del Rosario, Nostra Signora delle Raccomandate, Nostra Signora degli Angeli, Sant'Antioco, San Gavino (festa due volte l'anno), San Martino, Sant' Antonio da Padova, San Ciriaco, Sant'Antonio Abate, San Sebastiano.

Tra il 1700 e il 1800 fu aggiunto il culto di San Giovanni Nepomuceno confessore, San Luigi Gonzaga e San Francesco Saverio.

Ancora, furono istituite e solennizzate le feste di: Santa Rita il 22 maggio, Gesù Nazareno la terza domenica di luglio, Santa Teresa di Gesù il primo di ottobre, Nostra Signora dei Dolori la terza domenica di settembre, San Michele (a maggio e settembre), Santa Barbara a dicembre, il Sacro Cuore di Gesù a giugno.

Sulle antiche Cappelle e sul loro stato abbiamo una relazione scritta il 28 agosto 1770 dal vescovo di Bosa mons. Giovanni Battista Quasina. Esse erano accudite e dotate finanziariamente da sacerdoti, nobili, notabili e loro famiglie, in cambio del diritto di seppellimento al loro interno per sé e per la propria parentela.

La Cappella di S. Ciriaco aveva 25 scudi di dote, la Cappella di S. Gavino era dotata di 32 lire annue dal sacerdote Antioco Coco, la Cappella di Nostra Signora del Rosario era dotata di 9 lire annue dal prinzipale Giovanni Matteo Sulas, la Cappella di Sant'Antonio da Padova era dotata dal sacerdote Michele Pala e parenti, la Cappella di S. Martino era dotata dal sacerdote Giuseppe Delogu e parenti, la Cappella di S. Sebastiano era dotata di 16 scudi annui dal nobile Don Giacomo Sulas. Infine la Cappella di Nostra Signora delle Raccomandate era senza dote fissa, ma riceveva le offerte delle donne ed era gestita dall'omonima confraternita femminile. Le consorelle di questa confraternita vi avevano diritto di sepoltura.

Era operante anche un'altra associazione (nei documenti dell'archivio parrocchiale è nominata come "congregassion": quella del Santissimo Sacramento. Aveva entrate e gestioni proprie. L'amministrazione era tenuta da un sacerdote-procuratore pro tempore (tesorero). Lo stesso altare del patrono San Giorgio (su Gloriosu Santu Jorgi) non mancava mai di una "obrerìa", che ne curava il decoro, ne amministrava le donazioni e ne organizzava la festa.

Le Cappelle di San Gavino e di Nostra Signora del Rosario avevano beni cospicui in denaro, terreni e oggetti, che di volta in volta i fedeli donavano. Alla chiesa di San Giorgio appartenevano anche alcuni gioghi di buoi, che nelle varie campagne del paese lavoravano le terre di proprietà della stessa. Tutte le Cappelle erano officiate con la celebrazione di messe.

La navata e le Cappelle erano anche luoghi di sepoltura per quanti con appositi lasciti testamentari chiedevano di esservi inumati. Il presbiterio era riservato alla sepoltura dei sacerdoti. La navata conteneva anche un ossario realizzato nel '700. Dal 1696 al 1845 la navata ospitò circa 900 sepolture, le Cappelle quasi 700, il presbiterio una ventina.

Nel corso del tempo ha avuto diversi interventi di restauro. Uno fu certamente quello resosi indispensabile dopo che, nella notte tra il 30 e il 31 agosto 1816, un fulmine arrecò danni notevoli all'unico campanile e alla volta. L'opera di ricostruzione, iniziata nel 1835, fu finita nel 1839 con l'edificazione dell'altare maggiore e fu finanziata in gran parte con i fondi del Seminario, messi a disposizione dall'allora Vescovo Francesco Maria Tola e per il resto con il concorso finanziario e lavorativo degli abitanti del paese.

Finiti i lavori, l'edificio assunse l'aspetto attuale, quale ci è descritto dallo studioso Aldo Sari: " aula voltata a botte con quattro cappelle di pianta semicircolare per lato, coperte a catino e intervallate da pilastri rudentati con capitelli ionici sui quali poggia un'ampia trabeazione. Il presbiterio, quadrato e voltato a cupola emisferica, termina in un'ampia abside semicircolare. Ordinata secondo schemi di geometrico rigore è anche la facciata neoclassica scompartita in cinque spicchi da sei lesene con capitelli ionici e conclusa da un timpano delimitato da cornici a dentelli. Sui lati, a filo con le paraste d'angolo, si elevano due campanili simmetrici con finestre archiacute e cupolini rococò …. "

Tra il 1888 e il 1889, il pittore Emilio Scherer (1845-1924), parmense di nascita e bosano d'adozione, fu incaricato di realizzare " n° 2 dipinti a fresco rappresentanti figure oltre il naturale, nei due muri del presbiterio che fiancheggiano l'altare maggiore, altro che simboleggia una patria battaglia pure dipinto a fresco nel muro prospiciente all'altare maggiore, e quattro medaglioni alle lunette ove poggia la cupola del presbiterio che rappresentano gli Evangelisti, oltre alla pitturazione di tre cappelle e raffazzonamento di altre due a corpo ". Oggi si conservano purtroppo solo i medaglioni degli Evangelisti (restaurati nel 1998 dal maestro sassarese Antonio Sanna) e forse quello sulla controfacciata riportato alla luce con i restauri della volta nel 2000-2001. Sono del tutto scomparsi i due dipinti del presbiterio, distrutti dall'umidità che continuerà a danneggiare la chiesa nonostante i restauri.

Tra il 1926 e gli anni quaranta fu abbellita per il vigile e severo interessamento del parroco don Antioco Mastinu (per tutti i tresnuraghesi più anziani su Vicariu nonnu Mastinu). Nel 1926 il pittore scanese Isidoro Delogu, con l'aiuto del mastro muratore Giovani Loche di Tresnuraghes, decorò la volta, realizzando i tondi dei dodici apostoli. Il decoratore sassarese Antonio Sanna fece la scannellatura delle colonne. Alcune cappelle furono ridedicate. Scomparvero quelle di Nostra Signora delle Raccomandate, San Gavino, San Sebastiano e San Martino. Quest'ultima fu demolita nei primi anni quaranta per ospitare il fonte battesimale, offerto dal vescovo monsignor Saturnino Peri, divenuto tresnuraghese d'adozione. Il nuovo fonte battesimale sostituì quello in legno, molto bello ma ormai vecchio e fatiscente, posto dall'altra parte della navata, a lato della cappella di Sant'Antonio da Padova.

Fu sostituita l'antica statua equestre del patrono San Giorgio, con quella attuale, scolpita ad Ortisei dal maestro del legno Ferdinando Stuflesser, seguendo il disegno dell'opera realizzata da Donatello a Firenze, nella chiesa di Or San Michele.

Le otto cappelle, con la colpevole demolizione negli anni sessanta del novecento di altri tre altari e di quello maggiore, furono così rinominate: Sacro Cuore di Gesù, Maria Immacolata, Nostra Signora di Bonaria, Sant'Antonio da Padova, fonte battesimale, San Marco, San Giuseppe e Nostra Signora del Rosario. Tra il 1997 e il 1998, per interessamento del parroco don Paolino Fancello, si è provveduto al restauro delle decorazioni e dei dipinti del presbiterio (per opera del decoratore sassarese Antonio Sanna) e alla costruzione in pietra basaltica grigia del nuovo altare maggiore. Per questi lavori sono stati impegnati i fondi ricavati dalla vendita di alcuni terreni di proprietà della parrocchia e quelli di due donazioni: una dei familiari del defunto parroco don Achille Frau e la seconda della defunta sig.ra Bonaria Dettori vedova Peralta.

La parrocchiale, diventata ormai una vera e propria "fabbrica", è ad oggi ancora oggetto di interventi. Sono stati già realizzati il consolidamento degli intonaci dell'intera volta della navata, il restauro delle pitture e decorazioni di due terzi di essa. Con le offerte dei tresnuraghesi e non e altre donazioni si sta procedendo all'installazione delle nuove vetrate colorate, istoriate con episodi della vita di Cristo riportati nei Vangeli.



I dipinti della volta nella parrocchiale di San Giorgio Martire

RESTAURI E MEMORIE

La relazione preliminare dei lavori di restauro non nomina il pittore scanese Isidoro Delogu a cui si deve la maggior parte dei dipinti. Della sua molteplice attività, sul filo della memoria, ne parla il nipote sacerdote, inserendolo nel contesto sociale del tempo.

Il comune di Tresnuraghes ha intrapreso il restauro dei dipinti intorno alla volta della chiesa parrocchiale di San Giorgio Martire.

Chi ha steso la relazione preliminare dei lavori in oggetto non si dimostra molto informato sugli autori le cui opere necessitano dei restauri.

Sui dipinti della chiesa, oltre a due sconosciuti Albertelli e Dubois aggiunge, bontà sua, anche Emilio Scherer che effettivamente affrescò le due pareti laterali del presbiterio e la parete sovrastante il portone d'ingresso e inoltre quattro medaglioni ai pennacchi della cupola. Dei suoi lavori si conservano soltanto sui pennacchi le figure di San Matteo e San Giovanni evangelista ( errato, nota di B.D. ), mentre gli altri dipinti sono definitivamente scomparsi. Del vero autore dei dipinti intorno alla volta, raffiguranti i dodici apostoli, nessun accenno nella relazione. Eppure sono stati eseguiti in questo secolo e ancora siamo vivi più testimoni. Avevo parlato del fatto anche col compianto Billia Muroni qualche giorno prima della sua scomparsa; nel suo volume " Gente di Planargia " aveva presentato una storia documentata sugli autori dei dipinti. Per lui quanto scritto in quella relazione era qualcosa di incredibile e si riprometteva di appurare la questione. Le figure dei dodici apostoli furono dipinte, con la decorazione di tutta la volta, dal pittore e scultore di Scano Montiferro Isidoro Delogu. Ero nei miei primi anni di ginnasio quando mio zio prese domicilio per i lunghi mesi di lavoro a Tresnuraghes con le sue figlie tuttora viventi. Il parroco don Antioco Mastinu si era premunito di procurargli una casa confortevole. E questa casa mi richiama alla memoria un fatto che ci impressionò. Correvano voci su strani rumori e fenomeni che si manifestavano in quella abitazione, appartenuta, dicevano, a proprietari miscredenti. Mio zio non si curava di quelle voci e si insediò tranquillamente in quella casa. Ma una notte un forte rombo che svegliò anche gli abitanti delle case vicine scosse tutta l'abitazione. Zio Isidoro corse agli strilli e ai pianti delle figlie e le trovò coperte di calcinacci e sanguinanti.

Il giorno seguente con l'aspersorio prete Antioco, indossata la stola, prese in mano un vecchio rituale e iniziò gli scongiuri. Ad un tratto il libro venne colpito violentemente e, strappato dalle sue mani, venne sbattuto a terra dove fece alcuni sobbalzi. Nonnu Mastinu si chinò lentamente a raccogliere il rituale e con il sorriso sardonico che gli veniva abituale in certe circostanze mormorò: " Ehhi, a ch' 'essis tue ! ". Dopo quel fatto tutto continuò serenemente.

Al termine dei lavori sulla volta iniziarono forti contrasti. Prete Mastinu aveva un carattere piuttosto duro e forse mio zio non era da meno, tanto che si ritirò sdegnato, lasciando il resto dei lavori (la scanalatura e decorazione di Pilastri) a dei decoratori. In seguito venne chiamato in vari centri della Sardegna, tra gli altri Collinas, Sanluri, Narbolia. A Cuglieri ebbe dal rappresentante della S. Sede l'incarico della decorazione pittorica della cappella e altri ambienti del nuovo pontificio seminario regionale. A Sindia affrescò il catino dell'abside e le pareti laterali del presbiterio, con la raffigurazione della Madonna del Rosario e santi venerati nel paese. Nella parete a sinistra dell'altare maggiore il soggetto venne letteralmente dettato dall'allora parroco di Sindia don Patrignani.

Era don Patrignani un intenditore d'arte con un fiuto straordinario nello scovare e magari venire in possesso di cimeli artistici. Fece dunque dipingere un'ultima cena. Al centro della tavolata Gesù con ai lati undici pecore, mentre nella sala scodinzolava un lupo digrignante.

Decorò poi il Cappellone della Cattedrale di Bosa e dipinse sulla volta del presbiterio della parrocchia di Scano la Madonna di tutti i santi in gloria.

Quasi tutti i paesi della diocesi conservano statue di vari santi scolpiti in quel periodo da Isidoro; a Suni una bella testa del Cristo morto, oltre a statue di San Sebastiano e S. Imbenia.

Passarono gli anni ed io, dopo l'ordinazione sacerdotale, nel 1936 fui designato dal Vescovo mons. Frazioli al non ambito incarico di vice parroco del vicario Mastinu a Tresnuraghes. Devo dire che, contrariamente ad una prevista accoglienza per lo meno fredda, fui accolto molto benevolmente ed ebbi campo libero per organizzare l'Azione Cattolica dei ragazzi e dei giovani. Dopo qualche mese ordinammo insieme due nuove statue lignee che furono eseguite dallo scultore Stuflesser a Ortisei. Nel frattempo occorreva preparare e docorare la grande nicchia sull'altare maggiore per la statua del titolare San Giorgio e una cappella per quella della Madonna del Rosario. Inaspettatamente Nonnu Mastinu mi dice: "chiama tuo zio ". Venne e questa volta fu mio ospite nella vecchia casa parrocchiale ora scomparsa e sostituita dal centro di aggregazione. I lavori nella chiesa si svolsero tranquillamente, nel clima di una rinnovata amicizia.

E i miei ricordi si concludono con un altro episodio avvenuto verso il mese di marzo del 1937. Di solito celebravo la Messa quotidiana molto presto, all'alba, perché le donne che frequantavano dovevano poi affrettarsi per recarsi a "zappittare" nei campi di grano. Una mattina, iniziata da poco la Messa, sento alla mie spalle (allora si celebrava con le spalle a popolo) un calpestio di scarponi, con un rumore sempre più intenso. Quando mi giro per il "Dominus vobiscum" vedo che la navata veniva riempiendosi di uomini, in un numero mai visto neanche nelle solennità. Terminata la Messa, al rientro nella sacrestia trovo il parroco parato con il piviale viola e in mano il vecchio rituale e l'aspersorio. Alla mia aria interrogativa mi urla: "Non senti il vento ? ". Si era, infatti, levato un vento fortissimo di scirocco, micidiale in quella stagione per il grano germogliato, un disastro irrimediabile per la coltura più estesa e redditizia del paese. Anche la parrocchia e Nonnu Mastinu personalmente erano proprietari di seminativi ragguardevoli. Mi da appena il tempo di levarmi la pianeta e si incammina a marcia forzata verso il portone prospiciente la piazza anteriore della chiesa, accompagnato dallo strepito del calpestio di centinaia di scarponi chiodati. Inizia a leggere dall'antico rituale una lunga preghiera depredatoria in cui sento il nome di svariati demoni. Leggeva con il viso bagnato di lacrime, con la voce interrotta da singhiozzi, mentre la piazza era sferzata dallo scirocco che infuriava dalla sinistra. Si allungano le preghiere, però il vento inizia a calare sensibilmente; alla fine calma assoluta. Alla benedizione finale gli uomini fanno il loro abborracciato segno di croce e si allontanano tranquillamente, ciascuno per la propria campagna. Io Rimango Sbalordito. Al loro l'esito era scontato.

Luigi Delogu




CHIESA DI SANT'ANTONIO

E' situata lungo a sud-ovest del paese di Tresnuraghes, nella località denominata Santa Maria, a pochissima distanza dalla strada che porta alla torre di Foghe. Con quella di San Marco, è una delle due Chiese campestri rimaste. Queste, negli antichi documenti parrocchiali, a seconda della lingua usata nella compilazione, sono chiamate di volta in volta "Ecclesias rurales" o "Iglesias rurales". E' documentata anche la presenza di altre due "Ecclesias rurales", ora scomparse: Santa Maria Maddalena (Santa Maria de s'Adde in località Santa Maria, nella vallata ad ovest del paese) e San Giovanni. E' possibile che in un certo periodo siano esistite anche quelle di Santa Vittoria e di San Martino, entrambe poste nelle località omonime.

Le Chiese campestri che disponevano di beni e averi (San Marco e Santa Maria de s'Adde), avevano un procuratore (amministratore) proprio nella persona di un sacerdote del paese ("procuradore de sa Ecclesia rurale de su Gloriosu Santu Marcu"o "de sa Gloriosa Santa Maria Madalena"). Per quanto riguarda l'amministrazione, esse, insieme alle Chiese "urbane" di San Lorenzo e di Santa Croce, potevano anche essere associate alla Chiesa parrocchiale; in tal caso erano gestite da un "procuradore de sa Parroquiale Ecclesia de Santu Jorgi e de sas de pius Ecclesias".

Qualche studioso ipotizza che la Chiesa ora dedicata a Sant'Antonio di Padova sia appartenuta nel medioevo all'Ordine del Tempio di Gerusalemme, fondato nel 1118 e sciolto da papa Clemente V nel 1312. Se così fu, dipese direttamente dalla Commenda (Chiesa madre o distretto) di San Leonardo di Siete Fuentes. Ancora alla fine del 1700, alcuni documenti dell' Archivio parrocchiale di Tresnuraghes parlano di terreni appartenenti a " sa Incumenda de Santu Lenaldu de Sette Funtanas). Uno di questi terreni era posto nella località di Figu, non lontana dalla nostra Chiesa.

La Chiesa di Sant'Antonio di Padova era anticamente dedicata alla Vergine Maria ( "a su Sagradu Coro de Maria Santissima", come viene talora indicato nei documenti dell'Archivio parrocchiale, e detta anche di Santa Maria de Idili, per distinguerla ulteriormente da quella di Santa Maria Maddalena (Santa Maria de s'Adde). Se dunque era dedicata al Sacro Cuore di Maria, potrebbe essere vero quanto alcuni sostengono, per averlo sentito dire dalle persone più anziane: cioè che l'antica e bellissima immagine lignea della Vergine presente nella attuale Cappella del Sacro Cuore sia stata portata nella Parrocchiale di San Giorgio dalla Chiesa di Santa Maria.

Santa Maria de Idili fu saltuariamente adibita a luogo di sepoltura. Durante la prima metà del 1800 vi furono inumati tre personaggi importanti del paese. Nell'ottobre del 1835 la cagliaritana Signora Grazia Ghiani, con ogni probabilità moglie o parente di una persona in vista del paese ("su cadaver sou mediante promissa ed acconsentimentu de su Superiore, o Patronu istesit seppellidu in sa Ecclesia Rurale de su Sagradu Coro de Maria Santissima). L'undici marzo 1837 fu la volta del bosano Reverendo Antonio Mocci, Vicario parrocchiale di Tresnuraghes ("eliggesit sepultàrelu in sa Ecclesia rurale de S. Maria posta in Pianu Idili territoriu de sa presente Idda"). Con tutta probabilità, la sua tomba è sistemata nel presbiterio o sotto il piano dell'altare della Chiesa ("in su logu accostumadu pro sos Sacerdotes), come di solito anticamente si usava fare dopo la loro morte. Infine, l'undici maggio 1845 toccò a Donna Cicita Ricciu ("si li fatesit solennemente sos funarales .. su corpus sou istesit sepultadu in sa Ecclesia de Santa Maria Idili dedicadu a su Sagru Coro de Maria"). Donna Cicita era la moglie di Don Battista Descreiber, figlio di Donna Cadrinangela Cugurra e di Don Paolo Descreiber, quest'ultimo Maggiore delle Regie Armate, insignito della Croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro per meriti militari, in Sardegna Comandante militare della Città e Provincia di Oristano e di Carloforte.

Negli anni tra il 1921 e il 1926 fu attuata una raccolta di fondi per il suo graduale restauro e abbellimento. Ricostruita in parte, fu probabilmente anche ingrandita. Dell'antica struttura rimasero il presbiterio con all'esterno un elegante arco rampante di sostegno (crollato nei primi anni settanta del 1900 e non più ricostruito) e forse una parte della navata. Fu ridedicata a Sant'Antonio di Padova.Alla raccolta dei fondi contribuirono anche i tanti tresnuraghesi emigrati in Argentina, che offrirono la somma necessaria alla piastrellatura. Per il restauro della Chiesa e per l'organizzazione della festa di Sant'Antonio di Padova fu costituito un apposito comitato, incoraggiato e sostenuto dal parroco don Antioco Mastinu.

Si stabilì nel 26 agosto la data della festa del Santo, preceduta da una solenne e partecipata tredicina nella nuova Chiesa. Da qui la mattina della festa, il simulacro del Santo era solennemente trasportato in processione alla volta della Parrocchiale di San Giorgio e vi rientrava alla sera. Nelle due Chiese e durante il tragitto risuonavano le nore e le parole dei gosos:

O Serafinu infiamadu

o Santu su pius famosu,

Antoni meraculosu

ses de Padua intituladu…….


Nel primo periodo la processione si svolgeva lungo il sentiero che attraversa le località di "Terrùla" e "S. Maria" per arrivare alla Chiesa del Santo dalla parte opposta a quella ora utilizzata.

La prima festa fu organizzata il 26 agosto 1922 in un clima di grande partecipazione di popolo e devozione. Il momento divenne ancora più irripetibile per la presenza a Tresnuraghes di Sebastiano Moretti, da poco rientrato dai lunghi anni di "esilio" nelle zone minerarie dell'Iglesiente. Pitànu, invitato dal comitato dei festeggiamenti a partecipare alla gara poetica, non deluse le aspettative. Alla fine della gara, tra lo stupore e la curiosità di tutti, presentò un "modellu nou" di invocazione e glorificazione del Santo e di ringraziamento al comitato. Per la prima volta questo tipo di canto ("sa moda") veniva introdotto in una gara poetica. Eccone la parte iniziale:

Grande Taumaturgu Padovanu,

in sa mente de ogni coro umanu

chi t'adorat cun animu fervente,

in dogni coro umanu in sa mente

chi tesoro e grazias t'implorat,

chi cun fervente animu t'adorat

e t'implorat de grazias tesoro,

in sa mente de ogni umanu coro

infunde tue sa lughe Divina

de su c'hant postu in rughe fragelladu

ch'est su Verbu Divinu fattu umanu,.

A onore 'e s'interu comitadu

e gloria de su Santu nomen tou

custu modellu nou offrit Pittanu.

Ancora oggi, da tanti anni, la Chiesa è in fase di restauro. La festa di Sant'Antonio di Padova è celebrata il 16 di giugno.

Nei pressi della Chiesa, lungo la vecchia strada di collegamento con Oristano e Cagliari, ("su caminu reale" che ricalcava il percorso dell'antica strada romana), avvenne un fatto storico. Durante il tentativo di rivolta antifeudale, una trentina di armati, seguaci di Giovanni Maria Angioy e guidati dal farmacista bonorvese Salvatore Muroni, intercettarono il corriere postale viceregio. Era il 6 giugno 1796. Il corriere proveniva da Cagliari e, dopo aver fatto tappa ad Oristano, si dirigeva a Sassari. Gli angioiani bloccarono la carrozza postale e la sua scorta, dirottandola e scortandola fino a Santulussurgiu, nei cui pressi Giovanni Maria Angioy si trovava in quel momento. Lo scopo dell'operazione, riuscito, era quello di consentirgli la lettura della corrispondenza. L'Angioy e i suoi seguaci ritenevano di trovarvi indicazioni a loro utili circa gli ordini e le mosse dei loro avversari politici: da un lato, il Vicerè con i suoi funzionari a Cagliari, dall'altro, i feudatari del Capo di Sopra e i notabili del Marghine, del Montiferru, del Logudoro e della Planargia (particolarmente il bosano Don Gavino Passino).


Attualmente la chiesetta campestre di Sant'Antonio e in fase di messa in sicurezza e restauro



CHIESA DI SAN LORENZO

E' situata nella parte centrale della Via Roma di fronte all'antico palazzo della famiglia Brisi-Sanna. Si presenta con una facciata rivestita di trachite rossa. Il bel portale ha architrave e stipiti lavorati con scanalature in rilievo. Sulla sommità esterna del timpano presenta un piccolo e grazioso campanile.

La chiesa fu costruita tra il 1682 e il 1685, per interessamento dell'allora vescovo di Bosa monsignor Giorgio Sotgia Serra. Nel 1685 la struttura muraria doveva essere conclusa, anche se l'interno della chiesa mancava ancora di parte dell'intonaco e degli infissi alle due finestre.

Lo studioso Franco Dessì ci fa sapere che il vescovo Sotgia la cita nei ragguagli (Relationes ad limina) sullo stato della diocesi, inviati al Papa nel 1685. In questo resoconto egli espresse al Pontefice Innocenzo XI anche il desiderio di far erigere e annettere all'Oratorio un convento dei Servi di Maria, ordine cui apparteneva. Per quest'opera chiese esplicitamente il beneplacito del Papa. Il convento doveva essere realizzato grazie al contributo finanziario elargito da un sacerdote ("ex elemosonis pii sacerdotis").

Ma la morte del vescovo (1701) e la mancanza di tutti i fondi sufficienti non permisero la realizzazione del progetto.

Comunque, il "Padre Dionisiu Pisquedda religiosu Carmelita" dell'omonimo convento bosano era divenuto "Procuradore de su Combentu futuru de su Carmen e sa Villa de Tresnuragues". Ciò in vista della fondazione di un convento di religiosi carmelitani annesso alla chiesa.

Lo storico Vittorio Angius, nei primi decenni del 1800, parlò della chiesa di San Lorenzo come di "un Oratorio non molto antico che stabilìunsacerdote di nome Basilio, il quale lo dotava di una cappellanìa con Messa quotidiana". Questo Basilio potrebbe anche essere il "Venerabile (reverendo) Basili Marongiu" che, nel 1726 acquistò il corpo di case e dipendenze di fronte alla chiesa del Santo (oggi casa Brisi-Sanna), per la somma di centoventicinque scudi, pari a trecento lire sarde. Nell'atto notarile stipulato sono descritti, come allora erano, questi immobili: "… si componen de bator aposentos, sala duos aposentos cobertos, et ateru fabricadu a nou in muros, cun su ortu (alle spalle), et arburedu piantadu, et su putu qui est intro de su matessi ortu". Sul lato anteriore, i locali "… confrontan … parte de nanti carrela per mesu a sa Eclesia et Magasinu de Santu Larentu".

Il sacerdote Marongiu li aveva acquistati dalla cagliaritana Donna Rosalia Gaya, vedova del nobile Don Geronimo Olives. I Gaya-Olives a loro volta li avevano comprati dai parenti ed eredi del reverendo tresnuraghese Giuseppe Sanna Logu, che fu anche Rettore di Sagama.

Il reverendo Sanna aveva offerto in dote all'Oratorio di San Lorenzo la somma di centocinquanta lire sarde ("pro sa doda dessa Eclesia dessu Gloriosu Santu Larentu Martire fundada per ditu Reverendo … qui … servire depian pro sas festividades et de pius necessarios de dita Eclesia". E ancora, nel 1683, a proprie spese, fece fondere e donò la campana che tuttora si trova sul piccolo campanile della Chiesa, "in onore del Glorioso San Lorenzo Martire", come indica la dedica in latino.

In effetti, l'edificio non fu completato subito. In un momento successivo, furono installate le vetrate delle due finestre che ne erano ancora prive (una era quella di forma ovale sopra l'altare).

Nel 1764 il nuovo altare in legno (retablo), a tre nicchie, fu commissionato allo scultore sasserese mastro Antonio Cossu, scultore sassarese. Il contratto ne prevedeva il pagamento in tre rate da cento scudi ciascuna, in base allo stato di avanzamento dell'opera. Questa fu completata solo nel 1771, a causa di alcuni contrattempi, tra cui anche la morte del maestro. La conclusero il falegname tresnuraghese Juan Baptista Sanna e un parente o figlio del precedente scultore, mastro Domingo Cossu. Per accelerare i tempi dei lavori, questi e il suo garzone, si stabilirono a Tresnuraghes per più di tre mesi, a spese dell'amministrazione della Chiesa di San Lorenzo.

La vecchia pietra che serviva da mensa per l'altare, corrosa dall'umidità, non resse i lavori di adattamento e fu necessario sostituirla. Per mezzo scudo, mastro Sebastian Murgia ne estrasse una nuova e massiccia da una cava di tufo vicina al paese . Più di venticinque uomini, "en falta de carro", la trasportarono, con mezzi di fortuna e a braccia, fino alla Chiesa. Le loro loro forze vennero sostenute e ripagate da dieci soldi spesi in alcune decine di litri di vino. Quindici soldi costarono i piedi dell'altare, compresa "una pinta de vino" fornita ai manovali che li trasportarono dalla cava. Il muratore Antonio Are e i figli li lavorarono, completando la posa dell'altare. Provvedettero anche ad isolarlo dalla parete per limitare i danni dell'umidità e adattarono al nuovo uso e livello i gradini di pietra rossa. I lavori furono conclusi con l'intonacatura di un tratto di parete, la realizzazione in coccio pesto di metà della pavimentazione e la chiusura a parete della finestra sopra l'altare. Ciò per evitare che le infiltrazioni d'acqua piovana rovinassero il nuovo altare. Il tutto richiese ventidue giorni di lavoro.

Nel 1790, per la somma di settantacinque scudi, furono acquistate le nuove statue dei tre Santi venerati nella chiesa (".. los tres bultos dela Virgen Santissima del Carmen (quella restaurata nel 2005), de San Joseph (San Giuseppe non era ancora venerato né aveva cappella propria nella parrocchiale di San Giorgio), y de San Lorenzo, que se collocaron en dicha Iglesia").

Nel 1797 i muratori bosani Pizzolu e Ottana costruirono la sagrestia e imbiancarono di nuovo la Chiesa. Nel libro di amministrazione dell'Oratorio è annotato: "Se han extrahido.. del calaje .. del Dote dela Iglesia de San Lorenzo .. la partida, y suma de siento, treinta, y siette escudos, y dies sueldos, para pagar, àlos arbañiles Francisco Pizzolu, y Antiogo Ottana dela Ciudad de Bosa para hazer la Sacristia, dar leche, à toda la Iglesia, y su Campanario ..".

Le feste di San Lorenzo, San Giuseppe e della Vergine del carmelo si svolgevano ogni anno in tre date distinte con la celebrazione di Messe solenni e la partecipazione di "cantores".

L'Oratorio di San Lorenzo era ricco, secondo in questo solo alla chiesa parrocchiale di San Giorgio e alle sue cappelle. Aveva dunque bisogno di un "procurador", nela persona di un sacerdote del luogo che ne amministrava i beni e teneva la contabilità. Il "Libro primero del inventario delas tierras que tiene, y possehe la Iglesia del Glorioso, y Martir San Lorenzo" ci fa sapere che possedeva numerose terre nelle due vidazzoni in cui era divisa la superficie seminativa del paese di Tresnuraghes, la "Vidazoni de Arriba (o di Sopra) y Vidazoni de Abajo o dela Marina (ovvero di Sotto).

Entro la vidazzone "de Arriba" aveva terre in Cantareddu, Molineddu, Ciu Moro, Su Monte de S'Ortu, Benas con capacità di seminerio pari a complessivi ventiquattro "quartos"; in quella "dela Marina" seminava "un salto de tierras puesto in Martine … de càbida sinco raseros de trigo … ". Le terre erano regolarmente seminate a grano e a fave da agricoltori, chiamati "socios".

Lo scomparto della cassa parrocchiale (Arca de tres llaves) riservata alla chiesa di San Lorenzo, aveva sempre disponibilità di denaro liquido, che impiegava per le necessità dell'Oratorio e anche concedendo prestiti ipotecari (sensales). Nel 1760, dopo diversi anni di questa pratica, aveva concesso a prestito più di centosettantasette scudi nel solo paese di Tresnuraghes, più di centoventi in quello di Magomadas e venti in quello di Suni.

Ciò permetteva al Procuratore della chiesa l'incasso di "interessi" annui, nonché la possibilità di acquisizione dell'immobile ipotecato dal debitore nel caso questi fosse incorso in ripetute inadempienze nei pagamenti.

All'inizio del 2005 la chiesa è stata interessata da lavori di manutenzione quanto mai necessari. Con fondi stanziati dall'amministrazione comunale sono stati realizzati i nuovi canali di raccolta delle acque del tetto, il rifacimento di alcuni tratti di intonaco interno e di quello esterno della parte posteriore dell'edificio. All'interno della sagrestia è stata costruita un'intercapedine per nascondere l'umidità proveniente da infiltrazioni esterne e si è provveduto ad imbiancarla.




LA CHIESA DI SANTA CROCE

E' posta lungo la curva prospiciente l'attuale Largo Sebastiano Moretti, che nel 1800 era chiamato Via Santa Croce. Nacque come chiesa dedicata a San Tommaso apostolo, il cui culto è documentato anche dalla celebrazione, in antico, di due feste annuali. Successivamente fu intitolata alla Santa Croce, in concomitanza con l'istituzione dell'Arciconfraternita, nei primi decenni del 1600. Nel tempo, ne divenne Oratorio e sede, condivisi con la Confraternita della Vergine Santissima del Rosario.

L'edificio antico presentava aula unica e forma allungata. Occupava buona parte dell'attuale Via Roma e aveva un cimitero annesso. Questo si affacciava lungo la vecchia strada (allora poco più di un sentiero), proseguendo sul lato dell'orto e sul retro della chiesa. Un piccolo sagrato in acciottolato la separava dalla pubblica via e dal cimitero principale che da tre lati circondava la parrocchiale di San Giorgio. La precedente Chiesa di Santa Croce non presentava il cappellone laterale con l'altare a tre nicchie. La sagrestia era quella che attualmente si trova sul lato destro del presbiterio, ad esso collegata da un ampio arco. Fu ricostruita e voltata tra il 1854 e il 1855, portando sul posto il materiale con i carri e i cavalli: la sabbia, la calce, l'acqua, la pietra di Lorìo e quella "scapola" raccolta dove risultava più abbondante e adatta alla costruzione.

L'altare in legno (retablo)fu costruito nel 1805. La somma necessaria fu prelevata il 2 maggio dello stesso anno dalla cassa a tre chiavi e dal tiretto dei beni della Chiesa di San Lorenzo. L'annotazione in lingua spagnola, riportata nel relativo di amministrazione, riporta: "Se han extrahido del calaje distinto del Dote dela Iglesia de San Lorenzo de esta Arca de tres llaves la partida de treinta escudos para hazer el retablo que se harà en el Oratorio de Santa Crus…"). Per l'Oratorio, si fecero garanti della restituzione del prestito "…los que…hoy presentemente lo goviernan": il priore Luis Peralta e i consiglieri don Angelo Massidda (lussurgese e marito della nobile tresnuraghese donna Minnia Sulas), Antonio Attene e sacerdoti Sebastian Serra e Rafael Marongiu.

Come ci indicano i documenti dell'archivio parrocchiale, dentro la chiesa avevano privilegio di sepoltura quasi esclusivo i componenti maschili e femminili dell'Arciconfraternita di Santa Croce, "como à cofadre como à cossorre de aquella hermandad "(cioè, "in qualità di confratello … di consorella di quella congregazione"). Dagli stessi documenti si può rilevare che dal 1697 al 1843, all'interno dell'Oratorio furono sepolti più di 230 confratelli e un centinaio di consorelle. Infine, il 16 gennaio 1843, nel presbiterio o sotto il piano dell'altare, fu inumato il Vicario parrocchiale Giovanni Dejana. Nello stesso periodo, l'attiguo cimitero di Santa Croce ospitò più di settanta sepolture.

Nei primi anni sessanta del 1800 la struttura e l'aspetto dell'Oratorio mutarono radicalmente. Fu progettato l'allargamento della strada nazionale per Cuglieri e se ne avviarono i lavori. Per questo si rese necessario l'esproprio della superficie di parte della chiesa e dell'area cimiteriale. Nel 1864 l'Arciconfraternita, a spese della cassa dell'Oratorio, riesumò i resti dei defunti sepolti nelle superfici interessate all'allargamento della strada, provvedendo a ricollocarli nel nuovo camposanto. Tredici giornalieri in trentacinque giornate di lavoro si incaricarono della pietosa opera, per una spesa di ventuno lire e cinquanta centesimi.

All'inizio del 1867 la demolizione era già avvenuta e la ricostruzione e il restauro potevano essere avviati. In un primo momento, per recuperare lo spazio perduto, il Consiglio dell'Arciconfraternita, pensò al prolungamento della navata dal lato dell'altare. Adottò poi la soluzione di costruire un cappellone con tre nicchie sul lato destro. Una delibera dell' 8 settembre 1867 ne indicava il motivo: "mancanza di fondi sufficienti". La stessa assemblea costituita dal priore Antonio Angelo Sulas, dai consiglieri Giovanni Pira Pisanu, Lussorio Cappaj, Giovanni Antonio Muroni, Francesco Demonte, e dal presidente, il parroco Teologo Antonio Giuseppe Manca, prese anche altre decisioni. Autorizzò "il priore Sulas e il presidente a stipolare l'opportuno contratto facendo pure facoltà ai medesimi di farne, previa collaudazione, l'opera finale", che avrebbe dovuto essere realizzata "conforme al disegno". Fu decisa anche la spesa di ulteriori "lire italiane cinquanta da darsi all'impresario in più dell'appalto perché nella nuova facciata si adoprino quadrettoni di pietra rossa di Bosa, non compreso il trasporto". Tutti i lavori previsti furono appaltati all'impresario-muratore Francesco Pitzolu di Bosa, con scrittura del 23 settembre 1867 .

Un anno dopo, il 22 settembre 1868, il priore Luigi Demonte, il parroco presidente Manca e i consiglieri Antonio Angelo Sulas, Antonio Ulgheri, Giovanni Attene Masala, Bachisio Serra e Francesco Demonte, poterono constatare che "sono quasi ultimati i ristauri dell'Oratorio appaltati". Allo stesso tempo ritennero di delegare "il Signor Parroco Teologo Antonio Giuseppe Manca, Presidente dell'Oratorio, acciò possa validamente rappresentare il Consiglio dello stesso Oratorio nella collaudazione dei ristauri eseguiti e nel firmare all'imprenditore Pitzolu apoca definitiva". Inoltre, considerarono che "a più dei pattuiti ristauri, vi sarebbero alcune spese inprevviste all'interno, e di più converrebbe accomodare il tetto della sagristia e chiudere a muro fabbrico con porta d'ingresso l'orticello, ossia cortile dell'Oratorio".

Il 1869 fu anno di bilanci e di ulteriori spese. Nel maggio di quell'anno, il parroco Teologo Antonio Giuseppe Manca, Presidente dell'Oratorio, espose in una relazione di aver dovuto forzosamente cedere le aree per l'allargamento della strada; i ricorsi di opposizione all'atto, presentati a varie autorità del Regio Governo non avevano avuto alcun effetto. Era riuscito solo ad avere un aumento di trecentosessantaquattro lire e trentotto centesimi dell'indennità principale di esproprio. La somma complessiva di duemila e quattro lire e trentotto centesimi incassata non bastò a pagare tutti i lavori progettati. Il 25 febbraio 1869, pochi giorni prima della scadenza del loro incarico, il Priore Luigi Demontis Mazzone, i suoi Consiglieri Giovanni Attene Masala, Francesco Demontis, Antonio Angelo Sulas, Antonio Ulgheri e il Segretario Sacerdote Francesco Dettori, deliberarono di contrarre un mutuo di settecentocinquanta lire per estinguere l'ultima rata del debito con l'impresario Pitzolu. A garanzia del prestito furono impegnate le terre dell'Oratorio.

Nello stesso anno, l'Oratorio dovette far fronte al problema dell'inefficienza della campana, assolutamente indispensabile per le numerose funzioni e incombenze della chiesa. La vecchia campana "per esser fessa, e rotta, è in uno stato di doversi rifondere". Per cui "sebbene l'Oratorio trovasi attualmente in debito attesi i ristauri eseguiti nel medesimo, essendo qui di passaggio il campanaro Musso di Tempio, sarebbe meglio profittar della circostanza che offre qualche risparmio". Il 28 settembre, si riunirono appositamente il nuovo priore Antonio Brisi e il Consiglio dell'Oratorio composto da Luigi Demontis, Francesco Luigi Soggiu, sacerdote Giovanni Battista Demontis e Francesco Demontis, assente il consigliere Giovanni Agostino Bellu e presente il presidente Teologo Antonio Giuseppe Manca. Decisero di affrontare la spesa necessaria, "considerando infine, in quanto alla passività, che potrà ovviarvisi colla progettata vendita dei terreni dell'Oratorio".

Nella metà degli anni ottanta del 1900, altri lavori finanziati dall'amministrazione comunale hanno interessato la chiesa. All'interno furono rifatti la piastrellatura del presbiterio e della sagrestia e gli intonaci. All'esterno, la ricopertura del tetto, gli infissi, l'intonaco e la tinteggiatura della facciata; fu lasciata a vista la muratura del "cappellone laterale", per sottolinearne la costruzione più tarda, rispetto al resto dell'edificio.

Nel 2003 l'amministrazione provinciale di Oristano ha finanziato il restauro dell'altare: sono state risanate, ripristinate e lucidate le sue varie parti in legno di noce, ciliegio e castagno.

Tra febbraio e marzo del 2005, l'Oratorio di Santa Croce ha avuto altri interventi di manutenzione. Con fondi comunali, sono state eliminate le fonti di umidità con il rifacimento dei canali di raccolta dell'acqua sulle varie falde del tetto, l'impermeabilizzazione e ricopertura in tegole della calotta del "cappellone laterale"; all'interno, è stato rifatto l'intonaco nelle parti interessati dalle infiltrazioni di umidità e la tinteggiatura completa. La parrocchia ha finanziato la rimessa a nuovo del portone d'ingresso e della finestra del rosone. La somma raccolta con la lotteria di San'Antonio Abate del 16 gennaio 2005 ha consentito altri due importi e significativi interventi: il restauro dell'antichissimo Crocefisso ligneo dell'altare e di quello, più piccolo e altrettanto bello, usato nelle processioni dall'Arciconfraternita di Santa Croce fino agli anni sessanta del 1900. Quest'ultimo ha trovato ora degna collocazione nella chiesa parrocchiale, a lato della mensa della celebrazione eucaristica.



UN'ANTICHISSIMA CHIESA SCOMPARSA

SA ECCLESIA DE SANTA MARIA DE S' 'ADDE 


"In nomen de sa Santissima Trinidade, Babu, Fizu e Spiritu Santu, pro cantu sa pius cosa zerta, chi tenimos, est passare da custa a mezus vida, primu est dassare sas cosas terrenas bene ordinadas chi siat a laude e onra de Nostru Signore Gesu Cristu…". E' la solenne invocazione che apre il primo testamento di don Antioco Manca, sacerdote a Tresnuraghes tra il 1600 e il 7 settembre 1632, anno della sua morte. L'atto è rogato nel 1628 da Gregorio Sulas, notaio tresnuraghese, nominato cavaliere nel gennaio del 1640 e divenuto così capostipite della nobiltà Sulas.

Il reverendo Manca, tra le altre volontà, afferma: "Lasso a Santa Crusada unu soddu. Item a Santu Jorgi unu ischudu, a Santu Thomas vinti soddos, a Santu Marcu deghe soddos, a Nostra Signora de su Rosariu unu iscudu, a Nostra Signora de sos Anghelos bindighi soddos, a Santu Baingiu chimbe soddos, a Santu Antiogu chimbe soddos, a Santu Martine chimbe soddos, a Santa Vittoria chimbe soddos, a Santu Antoni chimbe soddos, a Santu Sebastianu chimbe sodos, a Santa Maria de sa Badde chimbe soddos". (1)

E' il più antico documento finora conosciuto in cui è citata la località di "Santa Maria de sa Badde", cioè la chiesa di Santa Maria Maddalena.

Un altro è quello del 20 dicembre 1653 con cui il notaio Antioco Pala roga un atto di vendita. Joan Andria Zuca e il sacerdote Jusepe Sanna Logu, anch'essi di Tresnuraghes, sono rispettivamente il venditore e il compratore di un chiuso del valore di diciannove lire e cinque soldi. E' la terra che il Zuca "tenet et possedit in su logu naradu Santa Maria de sa Badde, quale est lacana a sa parte de cungiadu qui in dittu logu tenet Antoni Detory tiu de ditu vendidore, lacana a su caminu qui si andat a Santa Maria et cara a sa de Anghelu de Riu, butturinu per mesu".

Un atto di prestito ipotecario del 15 dicembre 1705 stilato dal notaio tresnuraghese Franciscu Sanna cita ancora più chiaramente la Chiesa campestre di Santa Maria Maddalena. Il "massayu" di Suni Baquis Anguelu Ciulu chiede e riceve un prestito di cinque scudi. La somma viene prelevata dalla cassa della dote della Chiesa rurale. Il massaio sunese si obbliga quindi a restituirlo a "sa Eclesia de sa Gloriosa Santa Maria Madalena, una de sas de sa presente Villa et pro custa a su venerabile Juanne Pisquedda procuradore de cudda et de pius Eclesias de sa presente Villa, qui in custu nomen pro ditta Eclesia est ay custas cosas presente, et acetante".

La chiesa della Maddalena, posta nella vallata denominata "S'Adde" e oggi scomparsa, ha quindi origini antichissime. E' possibile che sia stata costruita o restaurata come effetto del fervore religioso promosso dal Concilio di Trento (1563). Le persone più anziane ricordano il ritrovamento di oggetti e di resti ossei umani durante la lavorazione del terreno su cui sorgeva la chiesa e intorno ad essa. I libri della parrocchia a noi giunti in cui sono annotati i defunti (dalla fine del 1600) e il luogo del loro seppellimento non riportano sepolture nella chiesa di "Santa Maria de sa badde". Ciò costituisce una prova ulteriore, anche se indiretta, dell'antichità del luogo di culto.

Nel documento del 1705 del notaio Sanna, Juan Maria Attolis e Juan Baptista Sulas sono citati come "obreris" di Santa Maria Maddalena per "trigu de ditta eclesia qui an vendidu", in quanto"obreris de cudda fuin su probe passadu annu" (1704). E' il grano che essi si incaricavano di raccogliere durante la questua annuale fatta per Santa Maria. Gli "obreris" o "operaj" avevano anche il compito di concorrere all'organizzazione della festa che si celebrava il 22 luglio. Per questo servizio era loro offerto un rinfresco pagato dalla cassa della chiesa rurale e della parrocchia. Le altre spese consistevano nell'offerta al "Curato" per le celebrazioni religiose e la paga ai sacristi per l'assistenza alle stesse. Queste voci sono riportate ogni anno nei libri di amministrazione della parrocchia di San Giorgio.

I depositi in danaro della chiesa rurale erano custoditi nella cassa parrocchiale a tre chiavi in un tiretto comune con l'altra chiesa rurale di Tresnuraghes dotata di beni e di fondi, quella "del Glorioso San Marcos". La consistenza di queste cifre ci viene fornita dal libro dei conti dell'antica e ricca cappella "de los Martires San Gavino, Proto y Januario", stabilita nella chiesa parrocchiale di San Giorgio. Il 18 luglio 1784 il vicario parrocchiale, "Doctor en derechos" Gregorio Querqui, effettua una ricognizione dei danari contenuti nella cassa parrocchiale a tre chiavi. Nella relazione annota di aver trovato nel tiretto delle due chiese otto "paquetes" contenenti la somma complessiva di oltre 417 lire. Nel 1810 il vicario parrocchiale Antonio Pischedda e il vice parroco e procuratore Antonio Mocci, in seguito ad ordine del vescovo di Bosa don Gavino Murro e del canonico prebendato di Tresnuraghes reverendo Angelo Murgia, rilevano di aver trovato nel "tiretto intitolato a Santa Maria Maddalena" 376 lire, un soldo e due danari.

Erano somme considerevoli e consentivano alle due chiese di concedere numerosi prestiti a richiedenti di Tresnuraghes e dei paesi vicini. La restituzione degli importi con i relativi interessi permetteva di incrementare continuamente il capitale e di contribuire, in caso di necessità, alle spese di gestione della parrocchia.

In uno di questi atti scritto in lingua spagnola, il 18 giugno 1745 Juan Matheo Mura, "massayo" di Tresnuraghes, chiede di avere sei scudi per "suplir algunas necessidades, que al presente dize tener muy urgentes". Glieli concede il procuratore parrocchiale reverendo Joseph Marras Pinna sotto forma di prestito ipotecario, "proprio dela Iglesia rural de Santa Maria Madalena de esta Villa", in quanto la somma è prelevata dalla cassa della chiesa campestre. L'accordo è stipulato davanti al notaio Juanuario Poddigue Manca e alla presenza dei testimoni Juan Antonio Mura di Tresnuraghes e Lorenso Sanna Caria di Magomadas. Juan Matheo Mura, a garanzia della restituzione del prestito, offre una casa con orto e la metà della casa di abitazione che possiede a fianco. La perizia di quest'ultima è affidata al "carpintero" mastro Angelo Betzu e al muratore mastro Angelo Porcu, entrambi di Tresnuraghes.

Nel 1756 il sacerdote Joseph Delogu concede un prestito di cinque scudi a Agustin Seque, "massayo" di Suni. L'importo proviene dalla "propriedad" che "es dela Iglesia rural de SantaMaria Madalena de esta Villa de Tresnuragues". E l'8 dicembre 1778, il bosano Salvador Cugui si carica a censo la somma di dieci scudi, prelevati dalla dote della medesima chiesa dal vicario parrocchiale Francisco Sanna e dal procuratore sacerdote Antonio Barbaranu.

Non è dato sapere con certezza fino a quando la chiesa di Santa Maria Maddalena sia stata officiata e abbia ospitato la festa e i fedeli che vi si recavano certamente numerosi, considerata la vicinanza al paese. Ma è del tutto probabile che sia andata progressivamente in rovina, fino alla sconsacrazione, come avvenne per un certo periodo alla chiesa di Santa Maria de Idili, ora dedicata a Sant'Antonio di Padova. I libri di amministrazione della parrocchia ci indicano invece che nel 1849 il pittore Stochetti è incaricato di "rinnovare" la statua della Santa, unitamente ad alcune altre presenti nella chiesa parrocchiale. Gli stessi libri, a partire dal 1858, non riportano più lo svolgimento della festa di Santa Maria Maddalena e delle voci di entrata e uscita che ne regolavano lo svolgimento.


(1) - Cit. Il paese dei tre nuraghi, capitolo VII, pag. 31 di Franco Dessì - Scuola Sarda Editrice



LA CHIESA DI NOSTRA SIGNORA DI BONARIA

 "Ultima nata", è posta di fronte alla Piazza principale della Borgata Marina di Porto Alabe. L'edificio comprende anche la sagrestia e un ampio locale di servizio. E' stata edificata su un terreno donato a suo tempo alla parrocchia dalla famiglia Mastinu-Cossu. La struttura ha uno stile moderno ma intonato al luogo in cui si trova. I lavori di costruzione si sono conclusi nel 1995.

La cerimonia di dedicazione a Nostra Signora di Bonaria, patrona della Borgata, è stata fatta il 5 gennaio 1996, dal Vescovo Monsignor Antonio Vacca, con la presenza di tutti i sacerdoti di Tresnuraghes. La festa si svolge l'ultima domenica di luglio, alla presenza di tanti tresnuraghesi e turisti.

La bellissima statua è stata donata dalla signorina Vincenza Canu. L'altare e l'ambone in trachite rosa sono stati realizzati dal valente scalpellino sedilese Mario Fancello. Sono stati offerti rispettivamente dalla signora Maria Demetria Chessa e dalla famiglia Antonina Mastinu.

La campana è dono della signora Giovanna Maria Obinu, il tabernacolo di Raffaele Arca e della famiglia, le due acquasantiere dal ragioner Pippo Lubelli e famglia, la lampada del tabernacolo della famiglia Pontis Maria Elena, Jan e Sebastiano.

L'arredo della Chiesa è stato completato nel corso degli anni successivi. Una parte dei banchi sono stati offerti da: Simonetta Piredda e famiglia, dalla famiglia Ortu, dalla famiglia Marras-Simula, dalla famiglia Fara-Manca, dalla signora Gavina Pala, da Anna Recanati e famiglia, dal geometra Angelo Mastinu e famiglia, dal dottor Enrico Andreoli e dottoressa Bianca Virdis, dal dottor Cesare Canalis e famiglia, dalla famiglia Daccardi-Oggiano, dalla famiglia Giosuè Ligios, dalla famiglia Orrù-Salis e dalla famiglia Titino Burrai.

L'impianto di condizionamento è stato installato grazie all'impegno delle famiglie residenti a Porto Alabe con i proventi di una pesca di beneficenza organizzata appositamente.

La parrocchia, per suo conto, con un notevole impegno finanziario, ha provveduto: alla dotazione di altri banchi, dell'impianto di amplificazione e dei mobili della sagrestia, al completamento dell'impianto elettrico, alla messa in opera delle vetrate e dei lampadari.

Altri arredi sono stati donati dalla famiglia Pischedda, dalla famiglia D.M. e dalla famiglia Frasconi-Muroni.

La Chiesa è sempre accudita e resa decorosa dall'impegno instancabile e meritorio di alcune famiglie che vivono stabilmente a Porto Alabe.




I SACERDOTI

LA FIGURA DI MONSIGNOR SATURNINO PERI

Saturnino Guglielmo Agostino Peri nacque a Tresnuraghes il primo marzo 1862 da Antonio, proveniente da Alghero, e dalla cagliaritana Maria Maddalena Fattaccio. Il padre, usciere della Pretura di Bosa, si era stabilito a Tresnuraghes sin dal 1857, dove erano nati anche i primi due figli, Filomena e Antonio Luigi Gaetano.

Da piccolo, fu allattato da una tata (Filomena Pala, sorella del padre della madre di Nannina Coga).

Lo finanziarono nei primi studi le facoltose sorelle Peralta, figlie del notaio Marco Luigi Raffaele e di Maria Maddalena Dejana, figlia quest'ultima, del "prinzipale" Giacomo Dejana e sorella del vicario parrocchiale di Tresnuraghes Giovanni Dejana. La maggiore delle sorelle Peralta, Anna Desideria, rimasta nubile, lo prese sotto le sue cure sin da bambino. Non fu da meno la sorella minore Maria Sofia Panolia, divenuta poi moglie del cugino, notaio Stefano Efisio Luigi Peralta. Anche questo, oltre la profonda amicizia e con il vicario parrocchiale Antioco Mastinu, spiega il particolare attaccamento di monsignor Saturnino Peri al paese natale e il motivo del suo ritorno successivo ritorno a Tresnuraghes.

Questo avvenne durante gli anni della seconda guerra mondiale. Giunse accompagnato da una nipote e dalla perpetua. Andò ad abitare al secondo piano della casa della famiglia Salvagnolu-Cavia, in Via Roma. Arrivò in treno e per il tragitto dalla stazione fino alla casa di abitazione fu accompagnato in calesse da Gigi Canalis.

Si affacciava alla finestra che dava sulla strada principale.

In una stanza, adibita a picola cappella, aveva un piccolo altare in legno dove celebrava Messa e pregava. Qualche tempo dopo la sua morte, questo altare fu portato all'Asilo delle suore vincenziane.

Data la sua quasi cecità, amava passeggiare tenuto a braccetto dalla nipote o dalla perpetua o da entrambe. Seguiva sempre lo stesso tragitto: casa di abitazione, tratto di Via Roma, bivio per largo Sebastiano Moretti (allora Largo Umberto I), Largo Sebastiano Moretti, Via Municipio, Via San Giorgio (allora Via Regina Elena) fino all'altezza della parrocchiale di San Giorgio, Via Parrocchia, Tratto di Via Principe Amedeo, ritorno in Via Roma all'altezza della casa della famiglia Piras-Poddighe, tratto di Via Roma fino a casa.

Amava, ricambiato, i bambini che lo seguivano sempre. Li intratteneva, recitava con loro qualche preghiera e faceva dare loro in regalo dalla nipote o dalla perpetua frutta secca o fichi secchi.

Ebbe per chierichetto Fellino Peralta (ex geometra).

Dopo la morte (9 gennaio 1945), il suo feretro fu esposto per tre giorni su un catafalco nel vicino Oratorio di Santa Croce e deposto nella bara solo quando fu trasportato nella parrocchiale di San Giorgio per le esequie solenni. Il suo feretro fu composto con indosso una mitra bianca, paramenti viola e scarpe rosse.


DON ANTIOCO M A S T I N U

( Nonnu Mastinu )

Tresnuraghes 1876 - 1951

Primo parroco titolare della parrocchia di Tresnuraghes dopo una lunga serie di Vicari. La amministrò dal 1903 fino alla morte. Sotto il suo lungo ministero fu di nuovo ristrutturata la chiesa campestre di Santa Maria di Itria (detta poi di Idili), già dedicata a Sant' Antonio da Padova.

Nel 1925 stipulò il contratto col pittore scanese Isidoro Delogu per la esecuzione della decorazione della volta e dei pilastri della navata della chiesa parrocchiale; opera poi conclusa nel 1926 da Antonio Sassu, decoratore sassarese, che richiese la collaborazione del muratore Giovanni Loche.




Don Antonio Francesco Spada

Mons. Antonio Francesco Spada è nato a Sedilo e ha vissuto a Bosa. Sacerdote diocesano, ha svolto il suo ministero in varie parrocchie, tra cui anche quella di Tresnuraghes, e nelle organizzazioni diocesane e regionali.

Laureato in Teologia e in Lettere, è stato vicario espicopale per la vita consacrata, canonico teologo della Cattedrale di Bosa e preside dell'Istituto Magistrale "Sedes Sapientiae".

Giornalista pubblicista, è stato cofondatore e direttore per 15 anni del periodico della Diocesi Alghero-Bosa Dialogo.



DON ACHILLE F R A U

Bosa 1914 - Tresnuraghes 1987


Appena ordinato sacerdote iniziò la sua opera a Domus Novas Canales - Norbello. Nel 1951, dopo morto "Nonnu Mastinu", gli succedette subito nell'amministrazione della parrocchia di San Giorgio Martire, fino al 1987. Gli spettò il compito di aggiornare la pratica liturgica, anche e soprattutto alla luce delle innovazioni introdotte dal Concilio Vaticano II; ebbe fama, non immeritata, di grande predicatore e le sue omelie furono molto ascoltate. A meta'degli anni sessanta volle e diresse, nella Chiesa parrocchiale, lavori ristrutturazione; ad essi è in parte dovuto l'aspetto attuale dell' edificio di culto.



DON LORENZO P I R A S

Tresnuraghes 1913 - Flussio 1971


Ordinato sacerdote a Tresnuraghes nel 1936, insegnò per alcuni mesi presso il seminario diocesano di Bosa.

Subito dopo fu trasferito e resse per 5 anni le parrocchie di Tadasuni e di Boroneddu dove, in assenza di mezzi di trasporto si recava a dorso d' asino. Nel 1942 fu destinato a Flussio e lì restò fino alla morte.

Al di fuori del tempo dedicato al suo ministero, fu amante e conoscitore della musica che insegnò anche nelle scuole. Fu anche cacciatore provetto e sempre disponibile a rapporti cordiali con quanti lo frequentavano, e specialmente con i bambini. Si cimentò come scrittore con la stesura di alcune opere, ancora inedite, ispirate dalla sua esperienza di sacerdote e a casi umani di cui fu testimone.


Pubblicità per i Vittorioso
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La copertina di un numero del 1956
La copertina di un numero del 1956

"Il Vittorioso" era un periodico a fumetti promosso dalla Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC). Nasce nel 1937 e si ritaglia una sfera di assoluto rilievo nel panorama della stampa per ragazzi. 

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