IL PAESE


Così lo descrive  Alberto  Della Marmora nel suo volume Itinéraire de l'Ile de Sardaigne, pour faire suite au Voyage en cette contrée, tome I-II, Turin, Fréres Bocca, 1860: 

"Tresnuraghes, che si incontra circa mezz'ora dopo aver superato i mulini omonimi, è un popoloso paese, capoluogo  di mandamento formato da sei altri paesi vicini: Magomadas, Flussio, Sagama, Tinnura, Modolo e Suni. Componevano l'antico feudo detto "della Planargia" perché in gran parte gli abitati sorgono in una specie di pianura; a dir la verità, ciò è giusto solo se si giunga da un versante, perché dall'altro sono situati sul bordo superiore di una valle abbastanza profonda, quasi circolare, al centro della quale si leva un monticello isolato con sopra il pittoresco villaggio di Modolo. Tresnuraghes è così chiamato a causa di tre nuraghi che vi si trovano, di cui uno compreso nell'abitato e gli altri due poco lontani; dista tre chilometri dalla costa dov'è quello che viene chiamato "il porto" del villaggio. È qui se non sbaglio che furono imbarcati, in gran parte, i legni da costruzione tagliati nella foresta di Scano Montiferro, non senza peripezie e incidenti, perché si tratta di un posto adatto solo come momentaneo rifugio per i pescatori di corallo. Nel passato la costa fu infestata dai Musulmani. Secondo la tradizione locale, il villaggio di Magomadas si sarebbe trovato più vicino al mare; dopo un'invasione saracena nel 1226, gli abitanti scampati alle scimitarre e ai ferri dei barbari si sarebbero stabiliti più all'interno, cioè dov'è adesso il villaggio attuale. Ciò non impedì che i discendenti ricevessero a loro volta nel 1684 la visita dei barbareschi che saccheggiarono le case della nuova Magomadas e presero dei prigionieri. I Sardi, guidati da Giovanni Maria Poddighe, riuscirono poi a sconfiggerli e a riprendersi bottino e prigionieri; i discendenti del Poddighe conservano ancora uno stendardo (o bandiera) con la mezzaluna, conquistata in quell'occasione dal loro coraggioso avo".





La storia di una via

S'istrada noa

Come nacque la via Cesare Battisti


Il tre dicembre 1914 il messo notificatore Angelo Sechi recapitò ai Consiglieri gli avvisi di convocazione per un Consiglio Comunale convocato per il giorno sei in seduta straordinaria. Alla chiamata del sindaco dottor Cesare Canalis risposero in undici: Antonangelo Deriu, Vincenzo Serra, Giuseppe Canetto, Francesco Cavia, Gaetano Vidili, Giommaria Betzu, Antonio Cossu Serra, Bartolo e Raffaele Cinellu e il dottor Gustavo Cotza. All'ordine del giorno un unico punto: "Apertura di nuove vie" nel paese.

La straordinarietà e l'urgenza era giustificata dalla volontà dell'amministrazione di usufruire dei benefici della legge n°1050 pubblicata nel settembre di quello stesso anno. In premessa della delibera si precisava che questa disposizione: " favorisce i Comuni nell'effettuazione anche di opere igieniche …", e che si trattava di una legge "molto benefica…della quale però è prescritto di potere e dovere approfittarsi nel più breve termine". Infatti, la disposizione aveva fissato al 31 dicembre 1914 la scadenza ultima per l'inoltro delle pratiche relative alle opere da realizzare.

Il segretario Andrea Fedele Caddeo compilò il verbale e la delibera della seduta in cui vennero indicate le scelte di massima della civica amministrazione e i motivi di opportunità che le giustificavano. Nell'atto si scrisse: "Tra le opere igieniche non può sorgere dubbio che non siano compresi gli sventramenti in quei punti dove l'aria è malsana allontanando con ciò le future abitazioni da località antigieniche, come ad esempio quella in prossimità del cimitero. Sa il Consiglio che la popolazione, sempre in aumento, è stata fermata dal costruire nella estremità dal paese, appunto presso il cimitero, dove si continuava a fabbricare sino ad oltrepassare la minima distanza di duecento metri prevista dalla legge, e che a questo modo veniva e viene a mancare luogo adatto alla costruzione di nuove abitazioni e allo sviluppo del paese".

A causa di queste limitazioni, il Comune era stato costretto a progettare di far sorgere il nuovo "casamento scolastico" sul suolo di proprietà della Curazia, cioè della Parrocchia di Tresnuraghes. Il terreno interessato era posto in una "via esterna per quasi tutta la lunghezza del paese, proprio di circonvallazione e dove si ritiene che deve avvenire l'ampliamento dell'abitato". La via però, (si tratta della Via Manno) " ora abbandonata e parallela a quella principale che attraversa il paese, perché possa essere adibita alle nuove costruzioni, che non potranno essere intraprese altrove, è necessario che sia messa in comunicazione con la via principale, coll'apertura di alcune vie che richiedono la demolizione di poche case che è utile di far sparire per il pessimo stato di abitabilità e per l'abbellimento del paese e anche per la necessaria comunicazione degli abitanti col sorgendo casamento scolastico".

Come la pratica amministrativa richiedeva, il Consiglio in una successiva delibera del 18 dicembre 1914 precisò nei dettagli la natura del progetto e le modalità di finanziamento dell'opera. La nuova arteria, posta lungo la Via Roma di fronte alla Via Garibaldi, doveva metterle in comunicazione con le parallele Via Manno e Via Sa Mandrighedda (oggi Via Europa Unita e Via Kennedy e allora poco più che un viottolo di campagna). Il suo tracciato doveva essere rettilineo fino alla ferrovia e incidere su alcuni fabbricati prospicienti la Via Roma e i terreni retrostanti. Le risorse finanziarie necessarie erano assicurate da un prestito di ottomila lire, il cui periodo di ammortamento venne fissato in 35 anni con un interesse del due per cento. Le garanzie del prestito erano fornite in misura corrispettiva "mediante vincolo sulla parte disponibile della sovraimposta comunale, abbastanza rilevante per comportare la quota annua di ammortamento". Delle ottomila lire 2365 erano destinate all'esecuzione dei lavori, 4408 all'indennizzo degli immobili espropriati e 1227 alle spese tecniche.

Il progetto fu redatto dall'ingegnere bosano Antonio Baldino. Bisognava procedere: dalla parte di Via Roma all'esproprio e alla demolizione di "case rurali" e "accessori" di Pietro Paolo Madau, Pietro Mastinu e Antonio Maria Serra; sul lato opposto (Via Manno e Via Sa Mandrighedda), all'acquisizione di altri fabbricati e annessi, tra cui casa, cortile e tettoia di Tommaso Piredda. Per la parte rimanente fino alla strada ferrata, la nuova via doveva attraversare i terreni della Curazia (Parrocchia) di Tresnuraghes, nonché gli altri di GioMaria Lacono, Giuseppe Sanna ed eredi (2 appezzamenti) e di Antonio Zucca. (Vedi cartina planimetrica)

I fabbricati da abbattere erano tutti costruiti in "muratura di pietrame e malta di terra argillosa", provvisti di tetti spioventi in tegole; quello di Pietro Mastinu aveva un "tavolato" e quello di Antonio Maria Serra un "solaio di tavole".

Solo il 25 ottobre 1915 si potè procedere "all'avviso d'asta" per aggiudicare i lavori con il metodo della candela vergine. La procedura consisteva nell'accendere tre candele, una dopo l'altra; se la terza si estingueva senza che fossero state fatte offerte, l'asta era dichiarata deserta. Se invece nel tempo in cui bruciava una delle tre candele si avevano offerte, se ne accendeva una quarta. Di seguito, se ne accendevano delle altre sino a che si avevano offerte. Quando una delle candele accese dopo le prime tre si consumava e si spegneva senza che si fosse avuta alcuna offerta durante tutto il tempo di accensione, e circostanze non previste non avessero interrotto il corso dell'asta, si doveva aggiudicare l'appalto a chi aveva fatto l'offerta migliore.

La prima gara andò deserta. La seconda fu bandita per il giorno di martedì 9 novembre. Fu presentata una sola offerta, quella dell'impresario bosano Francesco Schintu Soggiu. A lui venne fatta l'aggiudicazione "provvisoria". L'importo dell'appalto era stato fissato sul "prezzo di base" di lire 2365. Lo Schintu offrì un ribasso di venticinque lire, la minima diminuzione ammessa dal bando. L'assegnazione "definitiva" ci fu il 25 novembre 1915, una volta constatata in apposito verbale la "diserzione di fatali". I "fatali" erano la data e l'ora stabilite nell'avviso di aggiudicazione "provvisoria" entro cui poteva essere presentata un'offerta più vantaggiosa per l'amministrazione appaltante.

La nuova via doveva avere una larghezza complessiva di 10 metri (sei di sede stradale e, su ciascun lato, un metro di cunetta a culla più un altro metro di banchina). Si doveva provvedere a selciare le cunette con pietre spaccate di porzione adeguata e a ricoprire la massicciata stradale in pietrisco di lava basaltica con "terra sabbioniccia". Lunga 225,50 metri giungeva all'altezza della linea ferroviaria; qui si arrestava, contenuta da 11 metri di muro di sostegno in pietrame e malta di calce con sopra un parapetto di copertine di lava basaltica. Per quanto riguarda i costi, parte delle opere era stimata a corpo (movimenti di terra, compensi diversi, demolizioni), parte a misura. Tra le opere stimate a misura, oltre ai costi dei vari materiali e dei mezzi a trazione animale impiegati per il loro trasporto, figuravano le paghe per i lavoranti. Una lira era il salario giornaliero dei garzoni, due lire quello dei manovali, cinque lire spettavano agli scalpellini, quattro sia al minatore che ai muratori. Cinque lire era il compenso per un conduttore di "carro a due ruote con cavallo" e sei quella per un conduttore di carro a buoi.

Il capitolato d'appalto prevedeva l'obbligo per l'impresario di provvedere a sue spese alle assicurazioni, alle cure mediche e alla fornitura dei medicinali ai lavoranti. Per far fronte al rischio delle infezioni malariche, allora ancora frequente, l'appaltatore doveva tenere alcune cautele nella gestione del personale e del cantiere. Era obbligato a "distribuire il chinino agli operai che siano colpiti di febbre malarica". E ancora, nel periodo dal primo luglio al venti novembre e secondo le modalità indicate dal direttore dei lavori, si impegnava a: "fornire il chinino per la cura preventiva" contro la malaria, "fare iniziare il lavoro un'ora dopo la levata del sole e terminare un'ora dopo il tramonto …", proteggere le aperture dei locali adibiti per il ricovero degli operai mediante reticelle …".

I lavori furono conclusi nel corso del 1916 e subito dopo la nuova via fu intitolata al patriota irredentista Cesare Battisti, giustiziato dagli austriaci a Trento il 12 luglio di quello stesso anno.



CASE CELEBRI

"Sa domo 'e su malchèsu"

CASA PALIACIO

Simbolo del potere feudale dei marchesi Paliacio, di origine sassarese, è "sa domo 'e su malchèsu", di proprietà per tanto tempo della famiglia Sanna-Brisi. L'edificio è situato nell'antica "Contrada de Santu Jorgi", o "delle Carceri", oggi Via San Giorgio. Ha le caratteristiche di una "domo manna", come in antico erano definite le abitazioni composte di più vani. I locali (circa 400 mq), sono inoltre serviti da un lungo cortile e da due orti, confinanti con altre case private di abitazione, dalla parte dell'attuale Largo Sebastiano Moretti e della Via San Giorgio. E ancora, da una corte ampia con scuderia attigua all'antica area cimiteriale annessa alla Chiesa parrocchiale, sempre dal lato di Via San Giorgio.

Questa casa appartenne al Marchese della Planargia e Conte di Sindia Antonio Ignazio Paliacio. Nel 1756 la Planargia gli fu concessa in feudo. Poi, nel 1758, in allodio per aver sposato Angela Fundoni Olives, figlia di don Giuseppe Olives, a sua volta feudatario della Planargia dal 1698 al 1756. Il figlio di Antonio Ignazio, Gavino Proto Juanuario (1727-1795), piccolo di statura, Generale delle Armi, cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, fu assassinato a Cagliari il 22 luglio 1795 durante i tumulti anti-sabaudi.

I nobili signori, come i loro predecessori e successori, dimorarono solo saltuariamente a Tresnuraghes. Durante uno di questi soggiorni, nacque Juan Françisco Paliacho, battezzato "en la Parroquial Iglesia de San Jorge" il 23 febbraio 1736. Alla famiglia appartenne anche un sacerdote, don Joseph Paliacho, che svolse il suo ministero a Tresnuraghes tra il 1756 e il 1758.

Del feudo, facevano parte i paesi di Tresnuraghes, Magomadas, Modolo, Suni, Sagama, Tinnura e Sindia; erano raggruppati nella circoscrizione amministrativa e giudiziaria detta Incontrada della Planargia,di cui Tresnuraghes era il capoluogo.

L'edificio viene citato in due documenti della Parrocchia di Tresnuraghes: un atto di permuta e uno di vendita di case. Nel primo, scritto in lingua spagnola castigliana e datato 29 marzo 1754, il notaio Juan Maria Delogu roga un atto "de concambio y permutassion" di case tra Juan Pedro Coco Simula "massayo" e Leonardo Milia. Pedro Coco Simula afferma di possedere le sue case che sta per scambiare "…dentro de esta pn.te V.a de 3 nurag.s, y lugar vulgo d.ho la Calle de S.ta Crus…. que segun dize termina cara, y parte de delante à casas de Thomas de Serra, y de Miguel Angel Porcu, de espaldas à casas del Ill.e S.r desta Encontrada de Planarja, de un lados à casas de Fran.co Pisquedda Pirinu, y de otro lado à casas de Pedro Mura…".

L'atto di vendita, anch'esso scritto in spagnolo, è rogato sempre a Tresnuraghes l' 1 aprile 1765 dal notaio Antonio Naytana Pisquedda. Con esso, il reverendo Antonio Joseph Bechu, curatore testamentario dei beni della defunta Juanna Mura, vende ai coniugi Leonardo Milia e Agostina Angela Vinchy una porzione di casa e di orto. Gli immobili confinano "...cara, y parte delante calle depormedio à casas de Francisco Joseph Serra, de un lados à otra mitad de Sala, mitad de pendente, y mitad de huerta de los herederos del quondam Pedro Mura, de otro lados à casas de dichos conjuges Milia, y Vinchy compradores, y de espaldas à huerta del Illustrissimo Marques Don Ignacio Paliachu, todos de la presente Villa, y Ciudad de Sasser respective….".

Le descrizioni sopra riportate ci consentono di situare gli immobili o nell'attuale Largo Sebastiano Moretti o in Via Municipio. Essi avevano "de espaldas" le "casas… y huerta…" del Marchese della Planargia.

Inoltre la tradizione orale popolare ha sempre trasmesso che

"sa domo 'e su malchèsu" sia da identificare con l'immobile di proprietà della famiglia Sanna-Brisi.


LA "CASA DERIU – ZEDDA - DELOGU"

L'attuale casa degli eredi Deriu, pur essendo stata ristrutturata ampiamente nel corso del 1800 e del 1900, ha sicuramente origini più antiche.

Lo dimostra anzitutto il complesso abitativo in cui è inserita e le strutture che la caratterizzano: il portale di accesso, la corte, le scuderie e le pertinenze chiuse a "muro fabbrico", come si usava per le case dei nobili e delle persone di classe sociale elevata. La completa una piccola "tanca" sottostante di circa un ettaro di estensione.

L'immobile è citato in due documenti. Il primo, più recente nel tempo, è l'atto di vendita perfezionato il 6 novembre 1863 con cui il Comune di Tresnuraghes acquistava il "corpo di case" di proprietà degli eredi dei nobili Sulas. Il Comune veniva dunque in possesso di "Casa Sulas", situata nel "…Rione appellato San Giorgio, ossia delle Carceri,coerenziata per tramontana, a casa degli eredi dell'Avvocato Attene, per ponente alla tanca di detti eredi Attene, per mezzogiorno alle antiche carceri viotolo per mezzo, e per levante alla contrada che conduce a Pianu Idili…" (1)

Il secondo, è un lunghissimo testamento in lingua spagnola del sacerdote Jusepe Delogu Falquy, rogato dal notaio Francisco Falquy in Cuglieri, il primo luglio 1790.

Constantinu Jusepe Maria De Logu, nato nel 1716 dal notaio Anguelu e da Antonia Falquy, fu vicario parrocchiale nel nostro paese fino alla morte avvenuta il 5 marzo 1800. Il padre, notaio, dal 1709 al 1715 aveva ricoperto la carica di Giudice Ordinario del Marchesato della Planargia durante il feudo di don Giuseppe Olives.

La casa, allora ad un solo piano, vi è descritta così:" .. Dichiaro di aver ereditato dal fu mio padre Angelo Delogu la casa che presentemente abito, che si compone della sala a travi (a trae vulgo detto) , di due stanze da una parte e due dall'altra, della cucina, di un magazzino, di un viottolo (butturinu (2) vulgo detto), però chiuso, di un piazzale altresì chiuso, della stalla e pagliaio …"(3)

Il Vicario Delogu precisò inoltre: "… di fronte alla casa ove abito (strada per mezzo), tengo un'altra casa grande con stanza a due travi, che presentemente serve di magazzino, col piazzale chiuso alle spalle ".

In base a queste descrizioni possiamo individuare gli edifici citati come situati, ora come allora, la prima nell'attuale Via San Giorgio (vecchie Carceri marchionali e mandamentali, viottolo che le separa dalla casa dei nobili Sulas e casa del vicario Delogu, poi casa Attene e Deriu), in Via Municipio, già "Sa Bicocca", la seconda.

Il reverendo Delogu elencò con precisione le sue volontà e la destinazione dei propri beni: le quattro case (le due prima citate, un'altra nella vigna di Rennu e una quarta, composta di due "aposentos", acquistata nel 1766); la vigna di Sassos, le due vigne e l'uliveto di Padronigheddu; le terre aratorie dell'estensione di dieci rasieri di seminerio possedute nelle Vidazzoni "di Sopra" e "di Basso"; il denaro contante, gli arredi e i prodotti agricoli. Destinò le somme delle "pensioni" e dei censi ipotecari di cui era creditore in favore della Chiesa parrocchiale, di San Marco, Santa Croce e San Lorenzo e per l'istituzione delle due feste in onore di San Francesco Saverio, per il decoro della Cappella di San Martino di cui era "patrono" e per le migliaia di Messe da celebrarsi in suffragio della sua anima.

Particolare e suggestiva appare a noi la descrizione minuziosa delle onoranze funebri che volle gli fossero rese: " … Supplico i miei carissimi fratelli in Cristo, il Signor Molto Reverendo Vicario Parrocchiale, i Reverendi Parroci e gli altri Sacerdoti che assisteranno alla mia morte, mi facciano gratis le solite esequie e funerali come ai miei antenati Sacerdoti defunti, il che è di usanza; e ciascun Sacerdote del paese o forestiero presente si troverà, a favore dell'anima mia celebri due messe piane colle solite assoluzioni nel dì della mia morte (se fosse ora) o altrimenti nei dì seguenti, nella sola Parrocchia pagandole a titolo a titolo di limosina sette soldi e mezzo cadauna …".

Per il breve tragitto dalla casa di abitazione alla Chiesa di San Giorgio "…ad ognuno dei Sacerdoti che … avrà accompagnato il mio cadavere ed assistito all'Uffizio dei defunti, alla messa cantata, e alle solite assoluzioni, sia data una libbra di cera, ed un'altra sia data alla Venerabile Arciconfraternita di Santa Croce per l'accompagnamento dello stesso cadavere, della quale Arciconfraternita sono io confratello, e una libbra e mezzo nell'altare da quattro a libbra; a quattro poveri sia data una candela ciascuno da tenersi in mano nell'accompagnamento del mio cadavere e nelle esequie e nei funerali, finiti i quali saranno loro lasciati i moccoli, e cinque soldi a ciascuno, e solamente due candele ai Sacristi".

Quale patrono ed "erede, e per ciò stesso Cappellano celebrante che sono della messa quotidiana della medesima … ", elesse sepoltura "in mezzo della Cappella del Glorioso San Martino". Ordinò che: " … tale sepoltura sarà distante un palmo e mezzo dalla predella dell'altare, e non mi sarà data se non dopo passate ventiquattro ore dall'istante in cui sarò passato a miglior vita, tenendo il mio feretro rinchiuso e depositato dentro la detta Cappella nel frattempo in cui mi saranno applicate le messe piane corpore praesenti …". Volle che i suoi esecutori testamentari: " …comprino quattro cerei del peso di quattro libbre cadauno, e gli facciano accendere per la commemorazione dei diffonti ogni anno nella mia sepoltura fino a consumarsi …".

Il notaio Juan Maria Delogu, fratello del nostro Vicario parrocchiale, morì in giovane età senza figli; la moglie Isabella Solinas Angioy, figlia di notaio, si risposò con Antonio Martino Attene, anch'egli notaio e avvocato. A loro il reverendo Delogu lasciò in eredità le proprie case e alcuni beni, facendoli quindi subentrare nella proprietà della "Casa Deriu". Antonio Martino Attene, ricco e influente, divenne Segretario della "Mensa Vescovile di Bosa". Ebbe anche parte nei fermenti del 1796 in Planargia, durante la marcia degli insorti del movimento antifeudale, capitanato da Giovanni Maria Angioy. Nel giugno di quell'anno, il notaio Attene fu nominato Ministro di Giustizia dell' "Incontrada della Planargia", con il preciso compito di mobilitare immediatamente la cavalleria miliziana contro gli angioiani.

Beneficiarono dei laciti del munifico vicario Delogu anche i figli dei coniugi Attene-Solinas, Francesco e Giuseppe Luigi. L'avvocato "Peppe Luisi", il 3 novembre 1813, subì la perdita della moglie donna Maria Maddalena Sanna, cuglieritana ventisettenne, due giorni dopo la nascita della prima figlia Maria Anna Maddalena. La giovane donna trovò sepoltura nella Cappella di San Sebastiano dei nobili Sulas. Si risposò con la cagliaritana Grazia Ghiani Lebiu, da cui ebbe cinque figli: Isabella, Caterina, Efisia, Antonio e Raffaele, i quali ultimi diverranno rispettivamente sacerdote e avvocato. Grazia Ghiani morì nell'ottobre del 1835. Non potè più essere deposta dentro la Chiesa di San Giorgio perché, a partire dall'inizio dei lavori di rifacimento iniziati in quello stesso anno, la parrocchiale non fu più adibita a luogo di sepoltura. A testimonianza del "rango" suo e della famiglia però "su cadaver sou mediante promissa ed acconsentimentu de su Superiore, o Patronu istesit seppellidu in sa Ecclesia Rurale de su Sagradu Coro de Maria Santissima" (Santa Maria de Idili, attuale Chiesa dedicata a S. Antonio di Padova).

Efisia Attene Ghiani sposò nel 1848 a Cagliari l'avvocato sindiese Antonio Vincenzo Zedda Pittalis, con cui venne ad abitare nella casa paterna. Uno dei loro tre figli, il Cav. Ferdinando Zedda si trasferì a Bosa, per sposare donna Geltrude Uras Chelo. Nel 1920 Efisia, loro unica figlia, sposò il dottore-agronomo Marcello Deriu Contini. La casa che fu del vicario Delogu e degli eredi Attene divenne così di proprietà della famiglia Deriu. I coniugi Deriu-Zedda hanno due eredi maschi: Michele e Ferdinando (Nandino) Deriu. Michele nel 1950 sposò Giuseppina Cabras Panzali (avendone Franca, Roberto, Cristina e Marco); Nandino, la professoressa Alessandra Sequi Besson (avendone il figlio dottor Marcello Deriu Sequi. I discendenti Deriu-Cabras e Deriu-Sequi sono gli odierni proprietari della "Casa Deriu".

Nei secoli passati dunque, la "Contrada di San Giorgio" o "delle Carceri" costituiva il rione più importante di Tresnuraghes, in quanto vedeva concentrati in poche decine di metri quasi tutti gli edifici più significativi: "Su Palatteddu", la Chiesa Parrocchiale di San Giorgio, la Casa dei Marchesi Paliacio, la Casa Delogu-Attene-Zedda-Deriu, l'abitazione dei nobiltà Sulas e le antiche Carceri Marchionali e Mandamentali.

(1) - Archivio del Comune di Tresnuraghes

(2) - Il "butturinu" chiuso doveva coincidere con l'attuale portale d'ingresso al cortile

(3) - Archivio eredi Deriu

I NOBILI SULAS DI TRESNURAGHES

Il 13 gennaio 1640 il notaio tresnuraghese Gregory Sulas ottenne i privilegi del cavalierato. Nacque così a Tresnuraghes la "dinastia" dei nobili Sulas, che influenzò a lungo la vita del paese. Prima con la carica di "missu pubblicu" e poi con la carriera notarile, don Gregory si era garantita una posizione sociale di grande rilievo, accumulando nel frattempo un patrimonio di prima grandezza.

Un atto di censo del 27 febbraio 1612, rogato dal notaio tresnuraghese Antioco Pala, lo indicava già con il titolo di "don" e come proprietario della "domo" che poi sarà la casa della famiglia. Davanti al notaio Pala e alla presenza dei testimoni Gregory e Juan Baptista de Torij, i "reverendos" Dominigu Marras, Josepe Cossu e Pedru Murgia, "curados" di Tresnuraghes, concessero un prestito ipotecario di "doigui liras et mesa". Joanne Porcu, beneficiario del prestito, "…ipotecat … totta cudda domo qui isse tenet et possedit quale est posta in sa presente, quale confrontat et terminat de unu costagiu a domo de su quondam Franciscu Seque, de ateru costagiu a domo de su quondam Andria Vidili, parte de segus su ortu de ditta domo asa piatta desas domos de Franciscu et Joanne Angelu de Tori et parte de nanti a domo de don Gregori Sulas". Un altro atto di censo del 28 ottobre 1729, ancora più chiaramente, conferma che la stessa casa appartenne a don Antoni Martine Sulas, nipote di don Gregory. In questa data, infatti, il notaio Januariu Poddigue Manca rogò, a Tresnuraghes, un atto con cui il reverendo Jusepe Pisquedda concesse un prestito ipotecario al "massayu" Sebustianu De Palmas. Questi, a garanzia, ipotecò "totu cudda domo manna, et iurisdissione de ortu qui pro justos, et legitimos titulos narat tenner, et possedire intro desa presente Villa, cun sas intradas, et bessidas dretos, et pertinenssias de cudda qui terminat cara, et parte de nanti a domos de Juanne, et Juan Maria Muru piata per mesu,de palas assa domo de su nobile Don Antoni Martine Sulas, de unu costagiu assa presione de custa incontrada, iuridisione per mesu, et de ateru costagiu à domos, et ortu de Antoni Seque qui este in muros, totu desa presente Villa".

Le due descrizioni situano gli immobili ipotecati nel corpo di case dell'attuale Via San Giorgio, nel punto che interseca Via Municipio e che porta a "sa piatta" (Largo Sebastiano Moretti e piazza del Municipio) e che è adiacente alle carceri della Incontrada di Planargia, altrettanto antiche e d'interesse storico.

Intorno al 1630, "Gregorieddu" (così a volte era familiarmente chiamato), sposò Maria Satta. Dal loro matrimonio nacquero dieci figli: Basilia Maddalena, Jusepina Angela, le gemelle Maria Martina e Antonia, Gregory Antoni Diomitrj, ancora le gemelle Barbara e Sebastiana, Julianu Innassj, Deonisi e infine, nel 1652, Ysabella Gabriella. Tra gli eredi maschi, Gregory Antoni e Julianu morirono in giovane età. Deonisi divenne così l'erede principale dei beni paterni.

L'abitazione dei Sulas-Satta, ereditata o acquisita, in altri documenti detta "su dominariu", è dunque l'attuale ex caserma, adibita a sede della compagnia barracellare e a magazzini comunali. Da questo momento in poi, "su dominariu"divenne il simbolo dei nobili Sulas, vicinissimo all'altro simbolo del potere laico a Tresnuraghes: "su dominariu" e casa baronale dei Paliacio, marchesi della Planargia.

Lo stemma nobiliare dei Sulas è indicato nei libri sardi di araldica con arma d'azzurro a due leoni affrontati con lesina al naturale in capo il sole.

La famiglia era la più ricca e potente del paese, dopo di quella dei marchesi della Planargia, gli Olives e i Paliacio. Le garantivano tale status accorti e stretti imparentamenti, prima con i Querqui, poi con le famiglie dei nobili Passino, Delitala e Uras di Bosa, Garrucho di Tempio e di Bosa, Paderi-Masones di Oristano e Massidda di Santulussurgiu. Con il passaggio della Sardegna ai Savoia, la famiglia fu rappresentata da un componente nello Stamento Militare del Regno.

Don Deonisi Sulas, figlio di don Gregory, assunse più volte la carica di procuratore della parrocchia. Per sé e per l'intero parentado, aveva ereditato dal padre il diritto di patronato e di sepoltura "in sa Capella de su Gloriosu Santu Sebustianu, condita intro de sa Parroquiale Ecclesia de su Gloriosu e Martire Santu Jorgj" (con tutta probabilità l'attuale Cappella dell'Immacolata). Alcune donne di casa Sulas scelsero però di essere inumate in quella vicina della Vergine delle Raccomandate. Con cospicue donazioni, la famiglia curò il decoro delle due Cappelle.

I nobili Sulas possedettero un patrimonio ingente in case, bestiame e terreni (Nostasi, Sassos, Salamura, Salaèrgas, Cantareddu, Marigosa, Sa Sea, Rennu, S'Ena 'e Diana, Pedra Ruggia, Pianu Idili, Allò, Tingas, Tilìba, Puntone, Laccos, Sa Melagrenada, Giagonìa, Noètala, Sas Mendulas, San Marco, Pischina 'e Sassa, Tèporo, Terra Segada, Pianu, Pala Padru, Puttu, Bianàe ed altri). Donna Minnia Sulas, ancora ai primi del 1800, vantava un patrimonio ampiamente superiore alle venticinquemila lire. Per avere un'idea del valore dell'importo, basti pensare che avrebbe potuto acquistare quasi milleseicento vacche, o stipendiare cento muratori per duecentocinquanta giornate di lavoro.

Ancora nel 1862, la loro casa di famiglia "… è composta di una corte con scuderia, casa per la paglia, e pozzo, altra corte più piccola con altra casa ed orto addiacente un tutto circondato a muro fabrico.

Più un portico con tetto da dove ha ingresso ad una cucina, con altre due porte che danno ingresso ad una gran sala.

Da questa sala si hanno tre ingressi alla sala di pranzo che comunica colla cucina; altro ingresso ad altre due stanze per la parte di ponente; ed altro ingresso finalmente che da ad altre due stanze per la parte di levante che in tutto di dà il numero di sette appartamenti; ed altri cinque appartamenti si hanno nel pian terreno, quali comunicano dalla cucina per mezzo d'una scalinata, oltre l'ingresso dalla strada".

Intorno al 1860, il Comune di Tresnuraghes iniziò la trattative per l'acquisto di casa Sulas. L'intendimento era quello di adibire "su dominariu" a sede della caserma dei Regi Carabinieri, della giudicatura, e degli uffici comunali.

Il 6 novembre 1863,nella sede comunale il notaio bosano Antonio Giuseppe Puggioni Chelo rogò l'atto con cui il Comune di Tresnuraghes, rappresentato dal sindaco don Antonio Michele Cugurra, acquistava per la somma di "lire nuove cinquemila" il "corpo di case" ora conosciuto come "sa caserma 'ezza", attuale sede della compagnia barracellare. Vendevano i locali e le annesse pertinenze i cagliaritani Carlo, Maria Teresa, Giuseppina e Mariannica Marongiu, figli dei fu avvocato Andrea Marongiu e di donna Giovanna Rosa Cugurra, diretta discendente dei nobili Sulas e sorella del sindaco don Antonio Michele.

Per l'acquisizione, l'amministrazione comunale utilizzò in buona parte fondi già incassati dalla vendita di propri terreni effettuata qualche tempo prima. Al segretario comunale Giuliano Canalis era toccato il compito di approntare e seguire le aste pubbliche all'incanto dei cinque lotti di terre di Nuraghe Porcos, Sa Mola, Molineddu, Sa Pala de su Furru e Muras. Per questi atti, fornirono le attestazioni di rito i tresnuraghesi sacerdote Lorenzo Serra fu Giacomo e Gaetano Manca fu Angelo. La perizia degli immobili fu fatta dai muratori Luigi Zucca e Giuseppe Bezzu. Acquisito il parere favorevole del consiglio di prefettura di Cagliari, il decreto di autorizzazione alla spesa fu sottoposto al re Vittorio Emanuele II, che lo firmò a Torino il 27 settembre 1863.

Il Comune venne così in possesso di "…tutta quella casa col magazzino che li sta dirimpetto posta nel popolato di questo Comune, e Rione appellato San Giorgio, ossia delle Carceri, coerenziata per tramontana, a casa degli eredi dell'Avvocato Attene, per ponente alla tanca di detti eredi Attene, per mezzogiorno alle antiche carceri viotolo per mezzo, e per levante alla contrada che conduce a Pianu Idili, ed il Magazzino posto dirimpetto alla descritta casa colla strada da per mezzo collimita per tre lati ad orti rispettivi del Notaio Riciu, e Muratore Luigi Zucca…"

Fonti e bibliografia:

  • Archivio Parrocchiale di Tresnuraghes ( Quinque Libri, Atti di censo )
  • Archivio Comunale di Tresnuraghes

Volume "Gente di Planargia" di Giovanni Maria Muroni, Editrice Progetto Sardegna, Grafica Ghiani, 1


  C A S A   N O B I L I  S U L A S

DESCRIZIONE

L'edificio è stato fin dal 1600 la residenza dei nobili Sulas, successivamente acquisita nel 1863 dal Comune per essere adibita a caserma dei Regi Carabinieri. Il corpo di fabbrica, semplice, ma non banale nell'impianto, si articola su due piani. Nel piano terra è presente una sala voltata con crociere che si impostano su tozzi pilastri emergenti dal pavimento lastricato.

Gli interventi del primo novecento che hanno interessato lo stesso piano hanno purtroppo eliminato gli orizzontamenti, presumibilmente lignei, sostituendoli con solai in putrelle di ferro e voltine di mattoni. Al piano nobile la necessità di disimpegnare i vani ha comportato modeste demolizioni dei grossi muri interni, chiaramente leggibili nell'impianto attuale, e la contemporanea realizzazione di divisori in laterizi.

Quelli più recenti hanno eliminato i tavolati e i tetti realizzati col tradizionale schema a timpani affiancati sostituendoli con solai piani e con un "moderno" tetto a due falde.

Su nobile don Gregori Sulas

Nei primi decenni del 1600 Gregori Sulas è già notaio affermato e svolge la sua attività a Tresnuraghes. Con la carriera riesce a crearsi una posizione sociale di grande rilievo e a consolidare un patrimonio di prima grandezza. Questo gli consente di chiedere e ottenere dalla corona spagnola i titoli di cavaliere e di nobile. Negli anni trenta del 1600 sposa Maria Satta, avendone dieci figli: Basilia Maddalena, Jusepina Angela, le gemelle Maria Martina e Antonia, Gregory Antoni Diomitrj, ancora le gemelle Barbara e Sebastiana, Julianu Innassj, Deonisi e infine, nel 1652, Ysabella Gabriella. Tra gli eredi maschi, Gregory e Julianu muoiono in giovane età. Deonisi diviene così l'erede principale dei beni paterni.

Inizia così la "dinastia" dei nobili Sulas, a lungo preminente nella vita del paese. Don Deonisi assume più volte la carica di procuratore della parrocchia. Per sé e per l'intero parentado, eredita dal padre don Gregori il diritto di patronato e di sepoltura "in sa Capella de su Gloriosu Santu Sebustianu, condita intro de sa Parroquiale Ecclesia de su Gloriosu e Martire Santu Jorgj" (con tutta probabilità l'attuale Cappella dell'Immacolata). Alcune donne di casa Sulas scelgono però di essere inumate in quella vicina della Vergine delle Raccomandate. Con cospicue donazioni, la famiglia cura il decoro delle due Cappelle.

I Sulas consolidano fortuna economica e prestigio imparentandosi nel tempo con i nobili Paderi-Masones di Oristano, Garrucciu di Tempio e Bosa, Massidda di Santu Lussurgiu, Passino e Uras di Bosa. Con il passaggio della Sardegna ai Savoia, la famiglia è rappresentata da un componente nello Stamento Militare del Regno.

Possiedono un patrimonio ingente in case, bestiame e terreni (Nostasi, Sassos, Salamura, Salaèrgas, Cantareddu, Marigosa, Sa Sea, Rennu, S'Ena 'e Diana, Pedrarugia, Laccos, Sa Melagrenada, Pianu, Pala Padru, Puttu, ed altri). Donna Minnia Sulas, ancora ai primi del 1800, vanta un patrimonio che supera ampiamente le venticinquemila lire. Per dare un'idea del valore della cifra, avrebbe potuto acquistare quasi milleseicento vacche, o stipendiare cento muratori per duecentocinquanta giornate di lavoro. Altro simbolo del loro potere è l'abitazione, "su dominariu", un grande corpo di case con pertinenze e cortili. Sono i locali ora adibiti a sede della compagnia barracellare e a magazzini e garage comunali.

Ancora nel 1862, la casa "… è composta di una corte con scuderia, casa per la paglia, e pozzo, altra corte più piccola con altra casa ed orto addiacente un tutto circondato a muro fabrico.

Più un portico con tetto da dove ha ingresso ad una cucina, con altre due porte che danno ingresso ad una gran sala.

Da questa sala si hanno tre ingressi alla sala di pranzo che comunica colla cucina; altro ingresso ad altre due stanze per la parte di ponente; ed altro ingresso finalmente che da ad altre due stanze per la parte di levante che in tutto di dà il numero di sette appartamenti; ed altri cinque appartamenti si hanno nel pian terreno, quali comunicano dalla cucina per mezzo d'una scalinata, oltre l'ingresso dalla strada.

Inoltre, dirimpetto alle stesse case vi sarebbe un altro magazzino grande fa formare altre due stanze".

     Cessa ogni loro interesse a Tresnuraghes, quando nel 1862, i loro successori Carlo, Maria Teresa, Giuseppina e Maria Annica Marongiu-Cugurra vendono il "dominario" ereditato dagli avi. Acquirente il Comune di Tresnuraghes, per la somma di 5.000 lire. I locali, ristrutturati, diventano sede della caserma dei Regi Carabinieri per circa un secolo. Successivamente, sede delle Scuole medie, della Biblioteca comunale, della Società sportiva, della Pro loco e della Compagnia barracellare. Ancora oggi, in buona parte, conservano l'aspetto originario.



TRESNURAGHES E IL SUO TERRITORIO

Galleria di immagini



Da Radio Sardegna - Viaggio nell'interno

Tresnuraghes

Erano i primi anni '80 del secolo scorso e Radio Sardegna, col suo programma "Viaggio nell'interno" faceva tappa a Tresnuraghes. Sono riuscito a scovare una vecchia registrazione della puntata dedicata al centro della Planargia. L'audio purtroppo non è ottimale. Per accompagnare l'ascolto ho messo insieme una clip casuale di foto del territorio, della costa, di Porto Alabe e del paese (alcune, veramente suggestive, sono di Piergiorgio Finulli). Il racconto si avvale della inconfondibile voce del Sig. Vito Corona, straordinario conoscitore e appassionato della poesia del poeta dialettale tresnuraghese Pitanu Morette e si snoda attraverso notizie storiche e riferimenti all'attualià di allora (le diatribe di un rione conteso tra due Comuni e le speranze di un decollo turistico mai del tutto compiutosi). In sottofondo le bellissime armonie dell'organetto di Attilio Fais. 


LA STRADA FERRATA E L'ANTICA STAZIONE


Lo scalo ferroviario di Tresnuraghes nacque nell'ultima parte dell'Ottocento, venendo realizzato insieme alla ferrovia a scartamento ridotto tra Bosa e Macomer ad opera della Strade Ferrate Secondarie della Sardegna: l'inaugurazione di linea e stazione è datata 26 dicembre 1888 e le SFSS furono anche il primo gestore dell'impianto che originariamente era identificato col nome della sola Tresnuraghes, per poi prendere in un secondo tempo la denominazione comprendente anche i comuni di Cuglieri e Magomadas.

La piattaforma girevole dell'impianto: dal 1982 al 1997 la stazione fu il capolinea occidentale dei servizi di trasporto pubblico sulla Macomer-Bosa

Successivamente l'impianto passò alla gestione delle Ferrovie Complementari della Sardegna nel 1921, continuando la sua attività sino al giugno 1981, quando la linea fu chiusa per le cattive condizioni dell'armamento ferroviario: dopo la sostituzione dei binari la stazione riprese a vedere il transito dei treni nel 1982, ma la carenza di finanziamenti portò a riattivare solo il tronco di ferrovia tra l'impianto e Macomer, tramutando la stazione nel nuovo capolinea occidentale della ferrovia.

Nel 1989 alle FCS subentrò la gestione governativa delle Ferrovie della Sardegna, la quale ripristinò con fondi comunitari e dell'ESIT anche il tracciato che dalla stazione giungeva a Bosa Marina, riaperto per soli usi turistici il 10 maggio 1995. Due anni dopo tuttavia a tale impiego verrà destinato anche il tratto tra Macomer e Tresnuraghes, conseguentemente dal 16 giugno 1997 la stazione ha cessato ogni attività correlata al trasporto pubblico su ferrovia: da allora l'impianto, passato nel 2010 all'ARST, è stato utilizzato per le corse del Trenino Verde, effettuate principalmente in periodo estivo. Purtroppo da qualche anno anche tale utilizzo è venuto meno.

Di Gianni Careddu - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=56176746
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